lunedì 23 dicembre 2019
La storia di Sofia, donna serba rom, che ora ha un permesso di soggiorno per motivi di salute. È il suo primo 25 dicembre al centro “Apollinare Uno” di Fondazione ambrosiana per la vita
La stanza dove vive Sofia, con la sua piccola nel centro “Apollinare Uno” di Fondazione ambrosiana per la vita a Milano

La stanza dove vive Sofia, con la sua piccola nel centro “Apollinare Uno” di Fondazione ambrosiana per la vita a Milano

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Nel grande caseggiato in via delle Forze Armate, quartiere Baggio, a Milano, vivono 19 persone. Si tratta di una palazzina speciale, occupata dal centro “Apollinare Uno” di Fondazione ambrosiana per la vita. È divisa in bilocali che ospitano anziani, mamme con bambini, ragazzi neo maggiorenni.

A ognuno di loro è stato assegnato un alloggio, oppure - per i giovani - c’è la possibilità di vivere in condivisione. Gli appartamentini sono attrezzati, non manca nulla. Ma per favorire uno spirito di comunità sono stati predisposti spazi comuni dove ritrovarsi. Le storie che si intrecciano in questo luogo sono tante. Negli anni, sono riuscite a formare un corposo repertorio, custodito da Giulio, vicepresidente del Cav Ambrosiano e da sua moglie Silvia, che si occupa dell’accoglienza.

Lo scorso aprile c’è stato un nuovo arrivo: Sofia, 26 anni, nata in Serbia, di origini rom e religione musulmana, incinta. Una vicenda intricata, la sua. Nata a nord di Belgrado, aveva pochi anni quando è venuta in Italia con la sua famiglia, madre, padre e sette fratelli. Scappavano dalla guerra e hanno trovato una sistemazione nel campo rom di via Novara, autorizzato dal comune. «L’italiano è la mia lingua, ho studiato qui, mi sono iscritta a un istituto di moda e design dove ho frequentato fino alla seconda superiore», racconta Sofia.

Poi la decisione del padre di tornare in patria a seguito dello sgombero del campo, giunta all'improvviso, l’ha spiazzata quando aveva 16 anni.

Ma nel suo Paese natale non si trovava bene e così, dopo circa un anno, è tornata in Italia: «Sono venuta in pullman, con mio fratello, e sono stata a vivere da lui per un primo periodo a Monza. Ho sempre fatto lavoretti per mantenermi, aiuto domestico, badante. Ma in nero. Due anni fa ho conosciuto Alan, un ragazzo egiziano, ci siamo frequentati e ci siamo piaciuti. Sono rimasta incinta a fine 2018. Quando l’ho scoperto sono andata al consultorio Monreale per vagliare tutte le possibilità. Ero sola, il mio compagno, come me, è irregolare qui in Italia. Mi hanno fatto avere un permesso di soggiorno per motivi di salute». Ma le difficoltà non mancavano. «Al consultorio però mi hanno anche indirizzata al Cav Ambrosiamo. Ho conosciuto Giulio e Silvia del centro Apollinare Uno che mi hanno aiutata».

Il sostegno è stato forte, Sofia è riuscita a vivere serenamente gli ultimi mesi della sua gravidanza in un alloggio della struttura e poi, agli inizi di luglio, è nata la piccola Giulia. «Adesso sia io che Alan abbiamo consegnato i documenti per avere l’articolo 31 che ci autorizza a rimanere in Italia», prosegue lei.

La questione è infatti complicata: a fine dicembre sarebbe dovuta scadere la permanenza di Sofia e Giulia nel centro, ma il comune ha dato l’ok alla proroga di altri due mesi. Si arriva quindi a febbraio, quando dovrebbero lasciare la casa, perché a quel punto la retta per la permanenza non sarà più coperta. «Stiamo cercando un piccolo bilocale in zona, ma i prezzi del libero mercato sono alti. Io vorrei, appena possibile, ricominciare a lavorare, magari in un bar, per poter mantenere me stessa e la bambina, che vorrei iscrivere al nido».

Intanto il padre, che va a trovare regolarmente la figlia e la compagna, lavora come muratore. Ma appunto, non potendo dare particolari garanzie dal momento che sono entrambi irregolari, trovare un tetto non è cosa facile. «Vedremo come andranno i prossimi mesi - dice lei – come prosegue la richiesta di articolo 31 –. Ma la verità è che sono felice di passare il primo Natale con la mia bambina, che è stata una gioia inaspettata».

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