martedì 27 ottobre 2020
Una ricerca rivela: il periodo dell’isolamento forzato in primavera ha avuto effetti benefici su molti 'giocatori' patologici. È stato un ritorno alla normalità
Il lockdown aiuta i malati d'azzardo. «E' stato come disintossicarci»

Ansa

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Col Dpcm del 24 ottobre viene sospesa l’attività di tutte le sale gioco, le sale scommesse, bingo e casinò. Si torna così all’8 marzo quando un altro Dpcm aveva bloccato le stesse attività. Erano poi arrivate le determinazioni del direttore dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, Marcello Minenna, del 12, 21 e 30 marzo, che avevano sospeso anche le altre modalità di azzardo, in particolare slot e Vlt in bar e tabaccherie. Quasi 63mila esercizi commerciali con le slot spente, chiuse poco meno di 5mila sale Vlt, più di 10mila agenzie e punti scommesse, 203 sale bingo. Era il momento più drammatico della prima ondata della pandemia. Ora si ricomincia, ma come allora solo dalle sale. Restano accese slot e Vlt e si potranno comprare 'gratta e vinci' o puntare su lotterie, in bar e tabaccherie con l’unico limite orario delle ore 18, quando scatterà il coprifuoco commerciale. Ma ai Monopoli si sta valutando se, come 7 mesi fa, chiudere tutto. Intanto Liguria e Lombardia hanno emesso ordinanze più restrittive ed è probabile che lo facciano anche altre, o singoli comuni come accadde nel primo lockdown. Un periodo nel quale, come scriviamo in questa pagina, i giocatori patologici avevano ripreso a respirare, riconquistato vita e salute. Perché a danneggiarle non c’è solo il virus del Covid-19, ma anche quello dell’azzardo.


«Questo è stato il periodo più bello della mia vita». Così un giocatore d’azzardo patologico ha descritto il lockdownquando tutte le slot sono state spente. «Non ho mai guadagnato così tanto negli ultimi anni: 2mila euro al mese». È bastato non buttarli nelle slot, ha raccontato un altro. Mesi di disintossicazione, «come essere in comunità terapeutica», ha spiegato un altro ancora. E altri sono arrivati ad auspicare che le slot non venissero più riattivate. Sono alcune delle testimonianze raccolte tra i pazienti della Ausl di Piacenza e presentate dal dottor Maurizio Avanzi, responsabile della cura del disturbo da gioco d’azzardo. L’occasione è stato l’incontro 'Breakdown Covid, contributi per ripensare l’azzardo', promosso dal senatore M5s, Giovanni Endrizzi, coordinatore del Comitato su mafie e azzardo della Commissione parlamentare antimafia, e al quale hanno partecipato esperti impegnati nella cura del Gap, del mercato dell’azzardo e sindacalisti. Sono emersi dati e notizie particolarmente importanti per analizzare il fenomeno, proprio a partire dal lockdown, e per proporre riforme e vie d’uscita. Il monitoraggio della Ausl di Piacenza ha riguardato gli 80 giocatori d’azzardo patologici in carico. In 70 hanno risposto.

E ci sono state sorprese. «Si era ipotizzato – spiega Avanzi – che la convivenza forzata 24 ore su 24 con un familiare potesse rendere evidente la mancanza del gioco d’azzardo in chi ne era dipendente: l’impossibilità di giocare d’azzardo per chi ha questo disturbo si pensava potesse causare un aumento del livello di stress, di irrequietezza, di aggressività, di craving (desiderio incontrollabile, ndr), di disturbi del sonno al punto tale da inasprire le già difficili relazioni di una convivenza forzata ». Si è osservato l’opposto. «Col lockdown abbiamo avuto a disposizione un vero laboratorio».

Nel 60% degli intervistati è emerso un elevato benessere, il 73% ha vissuto durante il periodo una convivenza positiva e solo il 4% una difficile, il 41% ha potuto anche continuare a lavorare. L’82% è rimasto completamente in astinenza dall’azzardo. Nessuno si è spostato verso l’online se già non era una sua modalità di 'gioco'. Su questo, ha sottolineato lo psicologo e pscoterapeuta, Rolando De Luca, conduttore di gruppi terapeutici per Gap e familiari, «ha fortemente inciso il divieto di pubblicità. Se ci fosse stata ancora, avremmo avuto l’esplosione dell’online, perché i concessionari avrebbero spinto in tal senso». E osservazioni positive arrivano anche dal dottor Vittorio Foschini del SerDP di Ravenna. «Contattati in vario modo i no- stri pazienti in carico, abbiamo rilevato una fila ininterrotta di sospiri di sollievo e di pensieri liberatori. Improvvisamente sono sembrate persone ritornate normali, capaci di dipingere casa, di andare al lavoro senza perdersi altrove, dedicarsi al giardinaggio, giocare coi figli, riappacificarsi coi coniugi e finanche offrirsi per attività di volontariato sociale». Tornando al monitoraggio della Ausl di Piacenza, viene sfatato anche un altro dei cavalli di battaglia delle lobby dell’azzardo. Infatti nessuno ha dichiarato di essere passato all’azzardo illegale. Differentemente dai tossicodipendenti che durante il lockdown «non hanno avuto alcuna difficoltà a continuare a fare uso di sostanze illegali». Avvertendo però che «legale non vuol dire innocuo ».

A vivere meglio non è stato solo il Gap ma anche la sua famiglia, come ha illustrato la dottoressa Daniela Capitanucci, componente dell’Osservatorio per il contrasto della diffusione del gioco d’azzardo presso il ministero della Salute. Alcuni dati. Secondo una ricerca dell’Istituto superiore di sanità, i giocatori patologici sono 1 milione e 500mila, il 3% della popolazione maggiorenne, quelli a rischio moderato 1 milione e 400mila, il 2,8%. In tutto 2 milioni e 900mila. Ma per ogni 'giocatore', altre sette persone sono coinvolte, i suoi familiari. Si tratta di 20 milioni e 400mila, il 40%. «Dunque in Italia 4 cittadini su 10 – sottolinea Capitanucci – sono vittime di azzardo passivo». Il risultato è sia per il 'giocatore' che per i familiari la perdita di 7,6 punti percentuali di qualità della vita. Il lockdown ha 'protetto' i giocatori problematici, aiutandoli a non giocare. Di riflesso lo stress sui familiari è diminuito con il conseguente aumento della loro qualità della vita, in termini di relazioni, finanze, benessere, speranze verso il futuro. È la dimostrazione che non è più sostenibile continuare a ignorare questa amplissima fetta di popolazione».

È la richiesta che è arrivata anche da don Andrea La Regina, responsabile dell’ufficio macroprogetti di Caritas Italiana. «Lo Stato non può essere neutro di fronte a una persona che non ce la fa. Prima di tutto viene la vita di queste persone. Ma non basta la cura, serve la prevenzione. Uno Stato che non si occupa delle fasce più deboli non è uno Stato». Anche perché in tanti chiedono aiuto. Anche durante il lockdown. «In questo periodo – ricorda De Luca – abbiamo tenuto 160 incontri via Skype con 220 partecipanti. Ora ripartiremo perché è importante e perché i risultati arrivano. Più di 200 hanno terminato la terapia e altri 200 l’hanno in corso. Il 90% è uscito dalla patologia, il 10% ancora no ma non vive sotto i ponti». Già, perchè il dramma dei Gap non è solo sanitario e sociale, ma anche economico. E su questo il lockdownnon ha influito. «La fonte dello stress è cessata ma non gli effetti materiali – denuncia Avanzi –, come le rate dei debiti accumulati negli anni e che non si fermano col blocco dell’azzardo».

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