Referendum, scenari, nodi seri: il giusto modo
sabato 19 novembre 2016

Il (per ora) moderato aumento dello spread di questi ultimi giorni riflette l’umore, purtroppo ben comprensibile, di un’opinione pubblica internazionale che vede tornare l’incubo dei bizantinismi politici "all’italiana". Nel resto del mondo democratico, la politica è una partita che maggioranza e opposizione si giocano di solito fino in fondo dal fischio d’inizio (risultato delle elezioni) fino al fischio finale (scadenza naturale del mandato). Da noi le squadre non resistono all’antica e irrefrenabile tentazione di trascorrere gran parte del tempo a bordo campo a litigare sulle regole del gioco. In una congiunzione storica come questa, dove populismi e post-verità (cioè esagerazioni, caricature e menzogne) proliferano, di tutto abbiamo bisogno meno che di un’interruzione della partita. I governi hanno il dovere di governare fino in fondo e le opposizioni di fare il loro lavoro in modo costruttivo aspettando la prossima occasione "naturale".E invece nei palazzi e sulla gran parte della stampa, s’intessono dibattiti su governi tecnici e governicchi e fioccano le più involute ipotesi di scenari dopo la vittoria del Sì o del No.

Per cogliere la differenza tra tutto questo e le migliori pratiche europee, basta poco. I tedeschi hanno preso atto dell’impossibilità di un governo di un solo dei due maggiori partiti dopo le ultime elezioni ed hanno costruito una grande coalizione che, compatta e con rigore teutonico, procede all’azione di governo. Lo direste che Angela Merkel è figlia (o madre) di un governicchio? Da noi invece si sente da tempo dire in giro che questa o quella concreta azione di governo è bloccata per paura che influenzi negativamente il risultato elettorale. È questo che intendiamo quando parliamo di bizantinismi che limitano lo svolgimento del compito della politica. La dura realtà è che ci ritroviamo, dopo sette mesi di estenuante campagna elettorale di fronte al dilemma di un voto su una sostanza molto importante e complessa che è stato trasformato anche in un voto plebiscitario a favore o contro il governo Renzi. Con buona pace di tutti quelli che sono a favore della riforma costituzionale, ma contro il governo Renzi, o viceversa. E ora devono scegliere tra un obiettivo politico (che magari non raggiungeranno) e un voto di opinione sensato su qualcosa che inciderà profondamente sulla vita politica degli anni a venire.

Con i seri problemi sul tappeto posti dalla globalizzazione, dal progresso tecnologico e dalle ondate migratorie che bisogna saper governare con lungimiranza e umanità, ci saremmo aspettati che tutte quelle energie si fossero concentrate sulle questioni cruciali di governo per del Paese. In un dibattito appassionato, ad esempio, sulla "ecologia" della vita delle relazioni e della famiglia che disgiungiamo schizofrenicamente da quella della natura. Sui nodi che ancora bloccano la nostra ripresa, come i tempi esorbitanti della giustizia civile, la difficoltà delle nostre piccole e medie imprese di accedere al credito e l’oppressivo peso fiscale che le mortifica in un mondo dove i giganti della rete fanno enormi profitti non pagando tasse. O ancora sulle difficoltà del nostro sistema imprenditoriale a far ripartire gli investimenti e ad attrarre quelli esteri e sulla fatica a incorporare le nuove tecnologie, favorendo l’occupazione di giovani qualificati. O infine sulla questione ineludibile di un reddito universale attivo ed inclusivo, dunque non meramente assistenziale, che dia risposta alle nuove povertà e ai rischi crescenti della società globale. Da queste colonne abbiamo più volte sottolineato luci e ombre dell’azione di governo. Tra le cose positive molte leggi come quella sui piccoli Comuni, sul "dopo di noi", la riforma del Terzo settore e del credito cooperativo, l’impegno sul fronte dello sviluppo sostenibile con gli ecoincentivi, una posizione più critica in Europa che cerchi di portarla fuori dall’austerità.

Tra quelle meno positive l’approccio iniziale verso il settore bancario che, come volevasi dimostrare, non ha affatto risolto il problema chiave dell’accesso al credito della parte più in difficoltà del nostro sistema economico (e di banche con mission e vocazione a servire il territorio che abbiamo bisogno e non di giganti massimizzatori di profitto e occupati in attività speculative). È avvilente che si parli troppo a lungo invece in questi giorni, e in modo "populista" da una parte e dall’altra, del numero dei parlamentari e del loro stipendio come se fosse questo il problema. Saremmo disposti a pagare il doppio per il loro servizio se si dimostreranno in grado di risolvere i problemi del Paese...L’auspicio è dunque che, comunque si concluda questa partita, l’Italia sia governata e governabile con responsabilità e buona volontà da tutte le parti. Per tradizione culturale e spirituale, eredità politica, errori passati il nostro Paese appare un po’ più vaccinato di altri alle sirene post-trumpiste. È vivamente auspicabile che questo patrimonio non venga dissipato dalle turbolenze pre e post referendum.

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