sabato 29 gennaio 2022
Lo stato confusionale che regna al vertice del centrodestra, diagnosticato dalla quinta giornata di votazioni, mette in movimento le seconde file, i moderati, i pontieri, e soprattutto i governatori
Dopo un'altra giornata senza risultati nel voto per il Quirinale si comincia a delineare una ribellione nei confronti dei leader inconcludenti

Dopo un'altra giornata senza risultati nel voto per il Quirinale si comincia a delineare una ribellione nei confronti dei leader inconcludenti - Ansa

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Lo stato confusionale che regna al vertice del centrodestra, diagnosticato dalla quinta giornata di votazioni, mette in movimento le seconde file, i moderati, i pontieri, e soprattutto i governatori. Coloro che, inascoltati, si erano spinti per arrivare, senza ulteriore spargimento di sangue, a una soluzione condivisa escono ora allo scoperto.

Fra i governatori, si muovono soprattutto quelli della Lega. Giova ricordare che quando la situazione si incartò, nell’elezione del 2013, fu proprio l’asse bipartisan dei presidenti di Regione capitanati dal leghista Bobo Maroni ad avviare la processione per convincere Giorgio Napolitano al bis.

Molto attivo Giovanni Toti, nella duplice veste di governatore della Liguria e, soprattutto, di leader di Coraggio Italia. La soluzione condivisa, da lui suggerita al centrodestra, sarebbe quella di Pier Ferdinando Casini, ma i voti del suo movimento, accanto a una buona fetta di quelli di Forza Italia sono andati, ieri mattina, a Sergio Mattarella: 46 in tutto i voti confluiti sull’attuale capo dello Stato, in assenza dei grandi elettori di Pd, M5s, Leu e Italia viva che non hanno partecipato al voto.

Poi, in serata, il dato clamoroso della seconda votazione, a sceneggiatura invertita: con il centrodestra che non partecipava al voto, di schede per Mattarella se ne contavano ben 336. In pratica, sommando i voti dei due scrutini al capo dello Stato, che ha detto in tutti i modi di non essere disponibile, sono arrivati 382 voti, esattamente gli stessi confluiti sulla presidente del Senato, che aveva invece offerto disponibilità all’indicazione del centrodestra caduta su di lei, con tanto di messaggini inviati ai singoli grandi elettori. Un dato che va solo leggermente depurato dal doppio voto in entrambe le sedute che può essere venuto da componenti del misto che non hanno disertato nessuna delle due sedute.

Basterà questo a far cambiare idea a Mattarella? Certamente no. Almeno fin tanto che in campo c’è l’opzione Draghi, tornata prepotentemente alla ribalta ieri pomeriggio, nel centrodestra, dopo la sonora sconfitta registrata in mattinata. Mattarella, anche a non voler tener conto della sua netta contrarietà a ogni ipotesi di riconferma, non aprirebbe nessuno spiraglio fintanto che ci sono prospettive aperte per il trasloco al Quirinale dell’ex presidente della Bce che, agli occhi di Mattarella, generosamente si è reso disponibile per risolvere una altrimenti inestricabile crisi di governo in piena pandemia.

Sarebbe diverso se la richiesta venisse da un arco politico molto ampio, e soprattutto dallo stesso Draghi, sempre più logorato da questa trattativa. E ora deve fare i conti su un dato altrettanto eclatante: i voti per il premier nelle due votazioni di ieri sono stati in tutto 8. Un indice del clima che dovrà superare una sua eventuale indicazione al Colle. Le difficoltà sono essenzialmente legate alle incognite sul governo che dovrebbe succedergli.

Ma bruciata la seconda carica dello Stato ora i partiti dovranno stare attenti a "maneggiare con cura" almeno il nome degli attuali titolari del Quirinale e di Palazzo Chigi. È per questo che si tengono aperte anche altre soluzioni, si parlava soprattutto di Casini fra i moderati del centrodestra, ieri, prima che in serata Salvini rilanciasse su una donna da eleggere al Colle.





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