giovedì 5 aprile 2018
Ogni giorno in prima pagina c’è un manager, un poliziotto, un giornalista con le gambe crivellate di proiettili Violenze anche contro i cattolici.
Bologna, 19 gennaio 1977: i carabinieri disperdono un corteo di studenti (Ansa)

Bologna, 19 gennaio 1977: i carabinieri disperdono un corteo di studenti (Ansa)

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Sangue, sudore e polvere da sparo. Sfogli Avvenire del 1977 e resti attonito, anche se allora c’eri e ti ricordi bene il clima; ma la memoria gioca brutti scherzi, quelli del tipo "come si stava meglio quando si stava peggio". Ci sono periodi, invece, in cui ogni giorno in prima pagina c’è un manager, un magistrato, un poliziotto, un giornalista con le gambe crivellate di proiettili, così di frequente da farti sembrare "normale" la violenza quotidiana. Nel 1977 viene coniato l’orribile verbo "gambizzare". E tutto comincia...

Una data è arbitraria, la violenza è un crescendo. Ma l’inizio del Settantasette, con la nascita di Autonomia operaia, lo troviamo in prima pagina di Avvenire il 12 marzo: «Guerriglia a Bologna: un morto». Il sommario: «La città sconvolta da durissimi scontri tra polizia ed estremisti di sinistra. La vittima è un giovane di Lotta continua fulminato dal proiettile di un agente. Un assalto di ultrà a un’assemblea di Cl è stata la scintilla dei disordini. Scene di panico e devastazioni alla Stazione assediata dagli extraparlamentari. Distrutta una libreria cattolica». Scrive Sandro Bosi: «La violenza è esplosa incontrollata quando Pier Francesco Lorusso è caduto (...). Dopo, in città si sono scatenate la rabbia e il caos». La libreria Terra Promessa bersagliata dalle molotov. Piazza Maggiore, via Bassi, la Stazione... «Non si contano gli episodi di violenza».

L’11 marzo a Bologna segna l’inizio dell’escalation. Non solo bastoni, porfidi e molotov, ma anche pistole. Commenta Guido Bossa («I frutti della disperazione»): gli incidenti «sono l’indice più drammaticamente evidente dello stato di disperazione in cui si dibatte la nostra società. Una disperazione al limite del nichilismo, di cui sono, come sempre, vittime in prima persona i più giovani». E gli adulti? «Sembra quasi che non abbiano idee in proposito (...). In questo clima – ripetiamo, un clima di disperazione e di odio – maturano episodi come quello di Bologna». Quel giorno anche l’arcivescovo di Bologna, il cardinale Poma, fa sentire la sua voce: «Se vengono meno la libertà, il rispetto del diritto e della dignità umana, è in pericolo la vita dei singoli e della stessa compagine sociale».

Il giorno dopo si continua. «Il centro di Bologna devastato dalla guerriglia», mentre a Torino è assassinato il brigadiere Giuseppe Ciotta e a Roma (solo a pagina 3) sono «feriti 9 agenti e arrestati 5 giovani», con 4 guardie colpite da armi da fuoco. A Torino il cardinale Pellegrino invita: «Rifiutare l’odio per aprirci all’amore, bloccare la spirale della vendetta e aprire al perdono». Pellegrino parla apertamente di rischio di guerra civile. Il 15 le bombe colpiscono a Milano l’abitazione del sacrestano di San Lorenzo, una sede di Cl, la libreria Camponuovo. Incursioni anche a Reggio Emilia, Verona, Varese, Ciampino e Brindisi.

Il 17 marzo a Bologna (cronaca di Sergio Fantini) «centomila persone in piazza manifestano contro gli attentati alla democrazia. Civile risposta alla violenza ultrà». Il sindaco Zangheri: «Il vero volto di Bologna e dell’Emilia è questo». Ma la spirale è inarrestabile. 18 marzo: «Continuano gli attentati anticattolici. L’altra notte a Pavia i teppisti hanno preso di mira don Bordoni, cappellano delle carceri, direttore del settimanale diocesano Il Ticino». Il mese di marzo termina con il Consiglio permanente della Cei che nel comunicato finale scrive: «I vescovi non possono nascondere la loro amarezza e la loro protesta per il ripetersi di atti di violenza preordinati a colpire, con incredibile accanimento, tutto ciò che è sacro e cristiano: persone, movimenti, edifici e istituzioni».

Non solo ciò che è cristiano... Il 22 aprile vendetta è compiuta, cade Settimio Passamonti: «Agente ucciso a Roma». Scrive Massimo Franco: «"Qui giaceva un carruba. Lorusso è vendicato". La scritta è di un cinismo e di una cattiveria impressionanti: l’hanno tracciata con un pezzo di gesso sull’asfalto, quasi a incorniciare una larga macchia di sangue. Quel che non era accaduto il 12 marzo è successo oggi». Tre settimane dopo, «Roma ormai in stato d’assedio. Scontri, incendi, devastazioni. La violenza degli estremisti» (14 maggio). Scrive Franco: «Le frange più estremiste hanno rapidamente liquidato i radicali e sono rimaste, come si dice, padrone della piazza».

È il crepuscolo della Repubblica. Il 17 maggio anche Avvenire pubblica in prima pagina la foto che diverrà simbolo della guerriglia di Autonomia, l’uomo che a Milano, in mezzo alla strada, prende la mira con la P38. Il 20 maggio «guerriglia a Padova», con 40 auto bruciate, espropri proletari e molotov. In giugno e luglio praticamente ogni giorno c’è un gambizzato, compresi Indro Montanelli ed Emilio Rossi. Si spara alle gambe, ma presto si sparerà in faccia: a Carlo Casalegno vicedirettore della Stampa, il 29 novembre. E non sarà l’unico giornalista vittima del terrorismo.

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