venerdì 21 febbraio 2020
Il caso del paziente di Codogno apre nuovi interrogativi sul coronavirus. Sette domande e risposte per capire
Le persone infettate dal coronavirus vengono portate dall'ospedale di Codogno al Sacco di Milano

Le persone infettate dal coronavirus vengono portate dall'ospedale di Codogno al Sacco di Milano - Massimo Alberico / Fotogramma

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Il caso del paziente di Codogno apre nuovi interrogativi sul coronavirus.

1. È possibile, in base ai nuovi casi registrati in Italia, che si debbano rivedere i periodi di incubazione della malattia e della quarantena?

I sei giorni di incubazione e i quattordici giorni di isolamento in quarantena rimangono misure ragionevoli. Si tratta, per altro, di linee di indirizzo internazionale che difficilmente possono essere cambiate e che si basano su un ampia casistica. Per quanto riguarda il primo paziente infettato tra quelli accertati in Lombardia, il 38enne di Codogno, per intenderci, è necessario recuperare con attenzione e valutare il suo percorso epidemiologico, che sembra comolicato, per stabilire con esatteza i tempi.

2. Riferendosi al caso di Codogno, come può, un paziente asintomatico aver contagiato con una carica virale così alta un uomo di 38 anni robusto e sportivo?

La cosa è senz’altro possibile, ma bisogna vedere se emergono evidenze diverse. Non conosciamo infatti, ancora, in questo caso, il percorso patogenetico nei minimi dettagli. Comunque si può dire che ogni individuo reagisce a modo suo. La virulenza non dipende quindi dall’azione patogena ma dalla reazione immunitaria del soggetto che entra in contatto col virus, che può essere diversa da persona a persona. Su questo aspetto, in ogni caso, servono studi più approfonditi.

3. Come sta procedendo l’epidemia? Siamo arrivati al picco? E cosa dobbiamo aspettarci adesso?

È già pandemia. Ci sono cause autoctone e noi siamo ormai nel novero. Anche se dobbiamo continuare a non preoccuparci più di tanto. Credo che dovremo affrontare però in modo più deciso una nuova fase di gestione della malattia. Lo screening approfondito è importante, e lo si sta facendo. È un virus respiratorio la forma più incline al contagio e ha un’incidenza meno significativa dell’influenza. Le misure necessarie? Ridurre i movimenti di persone e aumentare i presìdi diagnostici, rendere più disponibili i test, anche con l’uso di appositi kit. Ma niente accaparramenti di generi alimentari.

4. Uno dei provvedimenti adottati nei Comuni della Lombardia è la chiusura delle scuole nei Comuni dove ci sono contagi. Ma i bambini non sono più immuni al virus?

È vero che i bambini sono meno sensibili a questo tipo di infezione e non sono comunque soggetti a forme gravi di coronavirus. Ma questo non significa che non possano essere asintomatici. La scelta di evitare assembramenti è dunque condivisibile. E poi in una scuola ci sono sempre anche gli adulti, docenti, impiegati, tecnici, genitori. Si tratta di applicare una delle normali procedure di salute pubblica. La scuola è necessariamente un luogo dove più persone stanno insieme.

5. Cosa bisogna fare se si ritiene di avere i sintomi del coronavirus: febbre, tosse, congiuntivite, difficoltà respiratorie, polmonite?

Bisogna ragionare, e quindi prendere iniziative, in base al territorio in cui si vive. Dove non ci sono casi diretti accertati basta recarsi al pronto soccorso di un ospedale. Ma in Lombardia, Veneto ed Emilia bisogna chiamare il 112: farsi venire a prendere a domicilio riduce il rischio di un eventuale contagio. C’è da considerare però che siamo ancora in pieno periodo influenzale. Quindi, non lasciamoci prendere dal panico. Sennò il sistema sanitario esplode. Inoltre, c’è il numero attivato dal ministero della Salute, 1500, utile per avere tutte le informazioni del caso.

6. Come fare prevenzione singolarmente? Quali accorgimenti usare per evitare di essere contagiati?

Usare le classiche misure igienico-sanitarie come, per esempio, lavarsi spesso le mani dopo aver tossito o starnutito, dopo aver assistito un malato, prima durante e dopo la preparazione di cibo, prima di mangiare, dopo essere andati in bagno, dopo aver toccato animali o le loro deiezioni o più in generale quando le mani sono sporche in qualunque modo. Poi, evitare il più possibile i luoghi affollati. Ma questo non significa che bisogna stare tutti chiusi in casa, a meno che non ci venga chiesto dalle autorità come misura di prevenzione collettiva.

7. È possibile essere negativi al test del tampone dopo avere avuto un’infezione da coronavirus?

Sì, è assai raro ma può accadere. Ma innanzitutto ci deve essere un test diagnostico affidabile. Per questo serve ripeterlo a distanza di uno-due giorni. Bisogna stare attenti perché ci possono essere, come è accaduto già per l’Hiv, test falsi positivi e test falsi negativi. È necessario valutare bene caso per caso. Insomma, anche i prelievi del tampone naso-faringeo che si fanno per accertare l’infezione da “Covid-19” non sono sempre affidabili al 100%.

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