lunedì 27 maggio 2019
La "golden share" di Salvini: proseguire con M5s, riunire il centrodestra o provare l'asse sovranista con Meloni. Carroccio favorito dall'assenza di una vera alternativa moderata. Il "terzo polo" dem.
Palazzo Chigi, sede della Presidenza del Consiglio

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Il ribaltone nei rapporti di forza (percentuali) nella maggioranza che dava la Lega "primo partito nel Paese" era dato ormai quasi per scontato. Anche se il confronto con il resto della Ue evidenzia l’anomalia italiana: unico grande Paese d’Europa dove una forza cosiddetta populista guadagna nettamente consensi rispetto alle tornate precedenti. Portandosi sopra il 34% Matteo Salvini assume la forza o di riscrivere l’agenda di governo o di valutare eventuali uscite d’emergenza, dato che il centrodestra unito, con percentuali poco sotto il 50%, potrebbe ottenere la maggioranza in Parlamento in caso di voto anticipato. La decisione pesa su Salvini: alla luce del fatto che prosegue il "prosciugamento" di Forza Italia, sta a lui ormai scegliere se tornare al centrodestra tradizionale con Berlusconi e Meloni (data in continua crescita), se restare con M5s o se provare un azzardo elettorale "sovranista" con una coalizione Lega-FdI, che si assesta alle soglie del 41%, percentuale che con l'attuale legge elettorale quasi consente la formazione di una maggioranza autonoma.

L'altro dato che fa clamore è quello che vede il Pd affermarsi come secondo partito, davanti al Movimento 5 stelle che paga un prezzo molto salato per l’esperienza di governo insieme al Carroccio. Pesa, sul risultato di M5s, l’astensionismo più forte nella roccaforte meridionale che appena un anno fa aveva assegnato al Movimento percentuali enormi. E non paga la strategia finale di Di Maio, più attento nelle ultime settimane a rimarcare le differenze con la Lega e a strizzare semmai l’occhio a sinistra. Il suo dato segnala l’esistenza di un problema strutturale, a questo punto. I dem recuperano tra i "delusi" del Movimento e in qualche modo hanno rappresentato la principale "boa di salvataggio" di chi è andato al voto con un sentimento europeista. Allo stesso tempo, il Pd si appresta a rimettere in piedi un potenziale terzo polo, dato che la somma dei voti di democratici, +Europa, Sinistra e Verdi si affaccia intorno al 30%. Ma a questo punto, c’è un credito personale che Zingaretti, alla sua prima prova da segretario, guadagna rispetto ai vertici dem: questo credito potrebbe essere speso per impostare, in questo o in un altro Parlamento, un negoziato proprio con M5s in funzione anti-Salvini.

Nel complesso, sebbene con percentuali perfettamente ribaltate rispetto ad un anno fa, sommando i voti della Lega e del Movimento l’area di governo resta comunque maggioritaria almeno tra coloro - il 56% circa degli italiani, meno del 2014 a riprova che l’Europa continua a non "scaldare" - che sono andati alle urne. Ragionando in termini aritmetici, il consenso complessivo dell’esecutivo non è in calo. Sta ai due vicepremier, quindi, saper gestire comunque questo capitale o proseguire nell’assurda pantomima della campagna elettorale. È il Movimento che prende una botta tale da aprire le mille questioni interne che sinora erano state soffocate dalla necessità di non soccombere alla macchina da guerra della propaganda e del protagonismo salviniano. In particolare potrebbe essere insidiata dalla minoranza e dalla base pentastellata la triade Di Maio - Casaleggio - Casalino che ha tenuto le redini del Movimento di governo. M5s gode tuttavia di una netta maggioranza relativa in Parlamento e potrà decidere il corso della legislatura: o concedendo rischiosamente ancora di più all’alleato leghista o sondando il Pd, assieme a un più robusto "mea culpa" sulla decisione di dare spazio all’agenda securitaria e anti-immigrati a prescindere di Matteo Salvini.

Non è difficile comunque immaginare cosa succederà nei prossimi giorni. La Lega chiederà, forte dell’esito elettorale, di mettere immediatamente mano a Flat-tax, Tav e autonomie, tre autentiche spine per il Movimento. M5s dovrà dare una risposta difficile, consapevole ormai che questo esecutivo fa bene solo all’alleato-competitore e consapevole sia dei rischi di un voto anticipato sia dei rischi di un ipotetico e arduo cambio di "contratto" con il Pd.

Sono ragionamenti che si fanno al netto delle due variabili fondamentali: i conti pubblici e l’Europa, che tornerà presto a farsi sentire (il 5 giugno sono attese le "Raccomandazioni Paese". Sia la Lega sia M5s, a Bruxelles e a Strasburgo, saranno minoranza. Le famiglie politiche "europeiste" possono costruire un'ampia maggioranza, ed è probabile che alzeranno il pressing contro gli sforamenti italiani su deficit e debito, sostenuti anche dai governi "sovranisti" per nulla dolci con l'Italia. Sullo sfondo c’è una legge di Bilancio da fare a ottobre che, solo per scongiurare gli aumenti dell’Iva, dovrà trovare 23 miliardi. Chi farà questa manovra e come? E' la domanda che circola in queste ore. E pesa sempre più, nelle timide risposte che si affacciano, l'assenza di un'autentica forza moderata e di governo. E' su quest'assenza che, pescando proprio nel voto tradizionalmente considerato "moderato", la Lega ha costruito la scalata dal 6,6% del 2014 al risultato di stanotte.

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