domenica 11 novembre 2018
Viaggio nel Bellunese devastato da pioggia e vento: «Viviamo da bombardati»
Danni e distruzione nel Bellunese (Ansa)

Danni e distruzione nel Bellunese (Ansa)

COMMENTA E CONDIVIDI

L’aria densa di resina è il segno che, dieci giorni dopo la tempesta, la ferita sanguina ancora e chissà quanto tempo ci vorrà perché rimargini. La strada che da Agordo, operoso paesone della provincia di Belluno dove ha sede il colosso dell’occhialeria Luxottica, sale ai paesi in alta montagna – Caprile, Rocca Pietore e Colle Santa Lucia – è disseminata di migliaia e migliaia di tronchi di abete schiantati dalla furia del vento, che negli ultimi giorni di ottobre, ha portato una devastazione mai vista. Prima una pioggia torrenziale, con più di 800 millimetri caduti in due giorni e poi raffiche a 200 chilometri all’ora hanno arato la montagna, spazzando via tutto come una mano gigantesca che si accanisce su un corpo troppo fragile, impreparato ad un simile attacco. E la memoria dei più anziani va all’alluvione del 1966, che uccise 24 persone e sommerse paesi e frazioni, che qui i montanari ricordavano come una tragedia senza pari e speravano di non dover più rivivere.

Il terrore negli occhi. «Ma almeno allora non c’era questo vento, questa tempesta», dice, ancora sgomento, Gino Marcolini, 80 anni, che vive con la famiglia a Paluch, frazione di Rivamonte Agordino. Ha visto la foresta schiantarsi di colpo a pochi metri da casa e ha ancora il terrore negli occhi. «È successo il finimondo e questa volta ho avuto davvero paura», racconta l’anziano, preoccupato che tutte queste piante rimangano per chissà quanto tempo accumulate sulla montagna. «Bisogna toglierle prima dell’inverno, perché se qui comincia a nevicare dopo è dura», aggiunge mentre prosegue a tagliare almeno i tronchi e i rami più piccoli per liberare la strada. «Nonostante tutto, però, si va avanti», aggiunge subito dopo, sparendo dietro una catasta di legna con l’accetta in mano.

Il sindaco sfollato. A Rivamonte la gestione dell’emergenza è nelle mani del sindaco Giovanni Deon, che da due settimane abita con la moglie in municipio, perché la sua casa è irraggiungibile per il crollo della strada. Anche un’altra coppia di Montas, nucleo che risale al 1500, ora completamente isolato, è stata sfollata, mentre decine di famiglie hanno avuto i tetti scoperchiati dalle raffiche. «Il nostro comune ha un bilancio da un milione di euro, ma qui i danni ammontano a decine di milioni», sospira Deon, che governa una comunità di 650 persone, distribuite in frazioni e case sparse. «Per una settimana – racconta – la frazione di Lonie è rimasta senz’acqua, ma è tutto il territorio a soffrire. Serve una grande opera di messa in sicurezza, altrimenti il paese muore». Al tempo delle miniere di pirite, chiuse nel 1962, Rivamonte contava quasi 1.300 abitanti, oggi più che dimezzati e la tendenza è in costante peggioramento. «Quest’anno abbiano avuto appena tre nascite – ricorda il sindaco – e i giovani se ne vanno. Questa devastazione rischia di essere il colpo di grazia».

Terre cambiate per sempre. Rivamonte, come tutti gli altri paesi di questa fetta di Agordino, hanno fin da subito ricevuto l’aiuto dei Vigili del fuoco, della Protezione civile e di tantissimi volontari, che ancora sono al lavoro per liberare le strade dagli alberi. «La catastrofe ha modificato per sempre una parte del territorio dal punto di vista paesaggistico e questo sarà un trauma che le popolazioni più colpite cominceranno a metabolizzare e assorbire una volta passata l’emergenza, quando torneranno alla vita “normale” – avverte Yuri Casanova, guida ambientale escursionistica (Aigae) della Coop Mazarol, che da giorni taglia alberi e spala fango –. E questo vale anche per noi che qui lavoriamo e amiamo questo ambiente e per tutti coloro che vivono di turismo. Per questo è’ importante che la gente torni in vacanza nelle Dolomiti bellunesi, per la loro bellezza che sarà diversa ma sempre unica». Una terra di montanari, fieri di esserlo, che non si sono persi d’animo e hanno già cominciato a ricostruire. «La gente è sicuramente provata, non avvilita, perché si avvilisce chi non ha una prospettiva di futuro, ma qui non è così», assicura don Fabiano Del Favero, parroco di 36 anni di Rivamonte Agordino e di altre quattro paesi (Tiser, Gosaldo, Frasené e Voltago), per un totale di 1.800 fedeli. In questi giorni il sacerdote ha girato in lungo e in largo la montagna, incontrando persone con «grande dignità» che hanno «testimoniato un fortissimo attaccamento a questa terra, nonostante tutte le sofferenze». Perché non si può volere male a queste montagne, tra le più delle Dolomiti, con le Pale di San Lucano, l’Agner e la Civetta a far da sfondo a valli e paesi. Un paesaggio che la natura ha rimodellato e che ora l’uomo dovrà rimettere in ordine.

«Bombardati come cent’anni fa». Qui nessuno si nasconde l’enormità di questo lavoro, di cui ancora non si conoscono le esatte dimensioni e la tempistica. Quanti anni ci vorranno per sistemare tutto? Nessuno lo sa, perché ancora non c’è una stima definitiva della devastazione e ogni giorno si scoprono nuove distruzioni nel cuore delle montagne. Ma anche in pianura non è andata meglio. «Cent’anni dopo la fine della Prima guerra mondiale, è come se ci avessero bombardato di nuovo», dice, senza giri di parole, il sindaco di Feltre, Paolo Perenzin, 40 anni appena e una cittadina di oltre 20mila abitanti da far ripartire, mostrando una fotografia degli anni Venti. «Dal punto di vista paesaggistico, siamo tornati indietro di un secolo», aggiunge, ricordando i 750 alberi di alto fusto (platani, tigli e ippocastani), schiantati su un totale di 1.150 censiti in città. Che ha anche dovuto piangere un morto, schiacciato da un tronco, ha ancora una dozzina di sfollati, l’acquedotto danneggiato, che ha lasciato senz’acqua anche l’ospedale, la scuola materna chiusa, così come il macello comunale e il cimitero e una quarantina di case scoperchiate. Per l’emergenza sono state mobilitate tutte le forze disponibi-li, con oltre 400 cittadini che, ieri e questa mattina, si sono messe a disposizione della squadra che coordina gli interventi.

«Abbiamo messo in campo tutto il fondo di riserva e recuperati dal bilancio altri 300mila euro – aggiunge l’assessore alla Protezione civile, Adis Zatta –. Ma qui servono decine di milioni di euro. Da soli non possiamo farcela». E soli non saranno, ha promesso il sottosegretario all’interno, Stefano Candiani, che ha incontrato i sindaci dell’Agordino, promettendo che «in Finanziaria ci saranno i provvedimenti necessari per il riordino del territorio ». Misure da prendere con urgenza perché, ha ricordato l’assessore regionale del Veneto alla Protezione civile, Gianpaolo Bottacin, «abbiamo bisogno di essere veloci». Con regole nuove, «più deroghe e meno burocrazia », altrimenti, ha ammonito l’assessore, «Rocca Pietore fra un anno sarà ancora senza acquedotto». Una prospettiva inaccettabile per un territorio «che ha già pagato tanto», ha ricordato il sindaco di Longarone e presidente della Provincia di Belluno, Roberto Padrin e che ora chiede al governo «scelte coraggiose e definitive».

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: