venerdì 20 ottobre 2017
Le bici condivise senza stazioni di parcheggio stanno invadendo le città. Tra entusiasmi e polemiche, nuove libertà e vandalismi. Un caos iniziale che può servire a far nascere una nuova cultura
Le biciclette di Mobike

Le biciclette di Mobike

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A poche settimane dallo sbarco in Italia, avvenuto a fine estate, il sistema di biciclette condivise "a flusso libero" ha già acceso il dibattito. Stiamo parlando delle bici argento-arancione di MoBike e di quelle gialle di OfoBike, i due colossi cinesi che dopo aver invaso con i loro mezzi centinaia di città nel mondo, sono approdate anche a Milano, Firenze e in altri comuni minori. La novità consiste nel fatto che le bici si trovano un po’ ovunque in giro per la città, possono essere localizzate e sbloccate con una "app" dello smartphone, usate il necessario e poi parcheggiate dove si preferisce. Il prezzo del noleggio è molto basso, dai 30 ai 50 centesimi ogni mezz’ora, e il pagamento avviene tramite la carta di credito collegata all’applicazione.

In principio una provocazione

Milano ha raggiunto un accordo per 12mila mezzi, Firenze per 4mila, e sono già moltissimi gli utenti soddisfatti, per non dire entusiasti; tanti cittadini, tuttavia, hanno incominciato a lamentarsi per un nuovo tipo di caos che sta interessando gli spazi urbani. Molte biciclette vengono vandalizzate, rovinate, parcheggiate selvaggiamente sui marciapiedi o nei posti riservati alle auto, gettate nei canali, come avvenuto nel Naviglio a Milano, o persino appese agli alberi. I social network sono pieni di immagini e di video che denunciano le situazioni più assurde. Tanto che gli operatori hanno deciso di incominciare a sanzionare gli utenti indisciplinati aumentando loro le tariffe.

Chi conosce la storia del bike sharing sa che un tasso minimo di "disordine" e di libertà è iscritto nel suo Dna. I primi mezzi condivisi, in fondo, sono state le "biciclette bianche" diffuse ad Amsterdam nel 1965 dal movimento anarchico Provo (stava per Provocatori), una delle tante manifestazioni alternative di quegli anni che ha contribuito formare una cultura e a trasformare l’Olanda nella patria della mobilità leggera e delle piste ciclabili. Avverrà lo stesso anche in Italia, oppure la situazione è destinata a sfuggire di mano? La cosa certa è che la diffusione del bike sharing a flusso e parcheggio libero è già realtà.

I capitali pedalano veloci

Ci sono forti ragioni economiche a far pensare che nei prossimi anni assisteremo a un boom. MoBike, il principale operatore al mondo, conta più di 30 milioni di bici sparse in 180 città ed è valutato 3 miliardi di dollari. OfoBike, che nasce come startup del colosso cinese del commercio elettronico Alibaba, con quasi 8 milioni di bici e 20 milioni di utenti, è stata valutata 1 miliardo di dollari. Voci di mercato riferiscono di una possibile fusione tra i due operatori. Strategie aziendali a parte, molti grandi fondi internazionali stanno investendo grosse somme in questo settore. Su MoBike hanno puntato giganti come Tencent e Sequoia Capital, Ofo ha alle spalle realtà come Hony Capital e Dst Global. Nella Silicon Valley, a testimonianza di quanto interesse ci sia, è nato un concorrente a stelle e strisce, LimeBike, sul quale diversi fondi di venture capital, tra cui Coatue Management e Franklin Templeton, hanno iniettato 50 milioni di dollari.

Un "flusso libero" di informazioni

Ma fanno guadagnare così tanto le bici condivise a flusso libero? In realtà ciò che interessa, al momento, non sono i guadagni che si possono fare, ma le informazioni che si possono ottenere: l’uso delle bici avviene tramite un’applicazione per smartphone collegata a una carta di credito e a un localizzatore Gps. Ingredienti perfetti per poter disporre di informazioni interessantissime, che riguardano soprattutto utenti molto giovani. Dati che nell’economia di internet rappresentano una miniera d’oro. Dunque, più bici si mettono in giro, meglio è. E poco importa se qualche mezzo viene distrutto: in una produzione su così larga scala i costi sono veramente marginali. Per molti aspetti la vicenda ricorda quella "previsione di utili futuri" che aveva spinto a gonfiare e giustificato la bolla della new economy a cavallo del millennio. Come è emerso in una conferenza organizzata da Bikeitalia.it, per fare affari un servizio di bike sharing tradizionale con i parcheggi fissi ha bisogno di mettere in strada una bici ogni mille abitanti, quello a flusso libero all’incirca una ogni dieci. In una città di un milione di persone, cioè, il sistema "free floating" avrebbe bisogno di 100.000 mezzi.

Tra vandalismo e libertà

I grandi numeri spaventano. L’effetto giungla ha spinto a porre dei limiti anche in molte città cinesi, dove tutto è nato. Pechino, con 2 milioni di bici condivise su 21 milioni di abitanti, ha deciso di bloccare l’ingresso di nuovi operatori e predisporre aree di parcheggio nel tentativo di mettere ordine nelle strade. Così anche Shanghai, 1,5 milioni di bici, quasi una ogni 16 abitanti, che come altre località ha dovuto fare i conti con i mezzi abbandonati dagli operatori falliti. Ad Amsterdam, paradiso delle due ruote, le bici a flusso libero appena introdotte saranno probabilmente bandite. A Manchester i tanti atti di vandalismo hanno spinto a pensare di revocare i contratti.

Le bici a flusso libero, proprio per l’elevato tasso di libertà che incorporano, raccontano molto di noi, delle contraddizioni e delle virtù di una città. Benché il contratto vieti di sconfinare, ad esempio, a Milano gli utenti hanno infranto immediatamente il perimetro urbano e definito il vero contorno dell’area metropolitana, diffondendosi in tutto l’hinterland, da Corsico a Sesto San Giovanni, da San Donato a Cinisello Balsamo. Ed è quasi impossibile alzare muri: i sindaci che non le vogliono se le ritrovano in casa lo stesso, col paradosso che i proventi, 30 euro ogni bici, li incassa solo il capoluogo. Ma non è tutto oro. Le mappe sullo smartphone indicano che molti mezzi sono stati sottratti, chiusi in garage o aree condominiali, lucchettati per un uso privato. E si vedono bici già distrutte, oppure abbandonate, messe a intralciare il passo sui marciapiedi. MoBike e OfoBike sostengono che l’uso non conforme sia poca cosa, nella media, tra l’1 e il 3% delle bici. La cultura della condivisione ha ancora molta strada da fare, così come quella del rispetto di ciò che è reso pubblico.

Educare a una nuova cultura della mobilità

Ma c’è qualcosa d’altro che si può leggere nelle polemiche sulla giungla del bike sharing. Una popolazione che mostra di non sopportare il "disordine" su due ruote rivela anche di essere assuefatta in modo preoccupante al caos dei veicoli a motore. Auto e furgoni sono realmente parcheggiati ovunque, sui marciapiedi, in seconda e terza fila, sulle strisce pedonali, sulle piste ciclabili. E quando si muovono, a differenza delle biciclette, inquinano. Eppure a scatenare le polemiche è il caos marginale delle due ruote. Forse l’inciviltà di chi sta abusando del bike sharing, come gli atti di vandalismo, derivano da una cultura arretrata in termini di mobilità sostenibile, e non a caso si dimostra particolarmente violenta dove la mobilità è già molto difficile ed è più complicato sperimentare il beneficio di potersi muovere pedalando senza tanti problemi.

La domanda, allora, è se questa sorta di "anarchia" delle due ruote libere e condivise, che con tanti vantaggi sta generando anche qualche problema, non sia un male iniziale necessario per aiutare a far nascere, con nuove abitudini, anche una nuova cultura. In attesa di scoprirlo può essere utile rendere gli operatori più responsabili dei problemi che i loro mezzi provocano in seguito a un uso scorretto. La pedalata è solo agli inizi.

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