mercoledì 20 maggio 2020
Raccogliere rifiuti, spazzare, sanificare: 2.500 operatori Amsa in servizio ogni giorno. Anche in emergenza Covid. Così il senso del dovere ha vinto la paura del contagio
Mezzi dell’Amsa in azione per rimuovere rifiuti dalle strade cittadine nel periodo dell’emergenza

Mezzi dell’Amsa in azione per rimuovere rifiuti dalle strade cittadine nel periodo dell’emergenza - Amsa

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È l’alba e Carmine ama questa città deserta. Cammina e spruzza candeggina sui graniti levigati dai passi. Da poche ore Milano è ripartita, eppure qui nessuno si aspetta traffico né calca. Nella zona rossa d’Italia il 18 maggio si è attardato e giugno sembra ancora lontano. I milanesi non sono poi così sicuri che il peggio sia davvero passato. Neanche il meteo, che continua a dare pioggia. Piazza Duomo non è mai stata così triste e sola. Anche oggi piove, su questa città bisestile. Nelle vetrine, la collezione di primavera attende un’estate che sarà in saldo. L’Odeon annuncia ancora che dal 26 febbraio potremo vedere l’ultimo film di Verdone. Se ne riparlerà a giugno, forse. In Galleria, il griffatissimo Bar Cracco non ha mai chiuso; mentre l’operatore ecologico ti racconta com’è stato spazzare una città fantasma, tu ti domandi chi abbia mai ordinato quel tuorlo d’uovo confit in delivery. E chi lo avrà consegnato, Glovo o Just eat? Mah.

Superiamo San Babila e Buenos Aires proprio quando la metropoli si risveglia, in mascherina. «Non l’ho mai vista così pulita, la mia città» sorride il caposquadra dell’Amsa. Poco lontano, si svela la chiesa di San Carlo, come la vide il Manzoni e prima di lui il gran cancelliere Antonio Ferrer. «Eccoci al lazzaretto». Carmine ha capito dove volevamo arrivare: «Tu te li ricordi i monatti?» Promessi Sposi, capitolo XXXII: «erano addetti ai servizi più penosi e pericolosi della pestilenza: levar dalle case, dalle strade, dal lazzeretto, i cadaveri; condurli sui carri alle fosse, e sotterrarli; portare o guidare al lazzeretto gl’infermi, e governarli; bruciare, purgare la roba infetta e sospetta». Ieri come oggi, infermieri, dottori, becchini e, appunto, netturbini. Perché, quando rischi la pelle, dimentichi gli influencer e scopri gli eroi della porta accanto.

L’ultima volta che si è presentata in città, la peste ce la portarono i lanzichenecchi, aiutati dai topi e dalle zecche. Non ha lasciato un buon ricordo. C’è da scommettere che, come allora, passata l’emergenza, i milanesi serberanno quello della paura e delle grida, delle bare sfilate su Facebook e delle autocertificazioni: dimenticheremo che il salto di specie è avvenuto dal pipistrello all’uomo, che il pipistrello è solo un topo che vola e che durante il lockdown questa città non è stata espugnata dai topi perché Carmine Blasi e i suoi colleghi, ogni mattina dalle 5.30, si sono presentati al lavoro e hanno svuotato i nostri bidoni, colmi di torte lievitate male e mascherine usate.

Carmine Blasi

Carmine Blasi - Amsa



Due mesi e passa, sotto le visiere e le Fp2. Gli operatori come Blasi che scendono in strada ogni giorno sono 2.500. Se li incroci, noti solo i loro grossi guanti e le pettorine gialle. «Quando tutto questo sarà finito – ammette Carmine – per noi non sarà cambiato nulla, perchè abbiamo continuato a fare il nostro lavoro». Un dispaccio dell’Azienda Milanese Servizi Ambientali puntualizza però che «durante il periodo di emergenza sanitaria Amsa non si è mai fermata: sono sempre stati garantiti i servizi di raccolta rifiuti porta a porta, pulizia e spazzamento della città. Inoltre Amsa ha effettuato, su richiesta dell’Amministrazione Comunale, due cicli di sanificazione di tutte le vie e piazze di Milano, coprendo oltre 7.000 km di strade…»

Una macchina da guerra, che raccoglie e soprattutto seleziona: il cento per cento dei rifiuti urbani milanesi sono avviati a riciclo o a recupero energetico e nessun rifiuto primario viene destinato alla discarica. Un bollettino interno fotografa il lockdown della metropoli: dal 2 marzo al 3 maggio, la chiusura di bar e ristoranti ha fatto calare in modo vistoso i rifiuti raccolti (– 28,4%); tuttavia, grazie all’improvvisa conversione di un milione e quattrocentomila abitanti in altrettanti chef e fornai, con relativo saccheggio di farine e lieviti dagli scaffali, la raccolta dell’umido è scesa solo dell’undici per cento; meno della metà, malgrado il blocco della ristorazione. Vista sotto un’altra luce, la città che si scrolla di dosso l’emergenza non è tanto diversa da quella del cardinal Federigo.

Oggi come allora, ci si divide sul virus e sulle strategie migliori per combatterlo – abbiamo anche noi i nostri «medici opposti alla opinion del contagio» – e, come ammette Carmine, «nei primi giorni tutti hanno avuto paura, anche noi, e tanta». La paura è umana, ma il coraggio uno se lo può dare e i dipendenti dell’Amsa se lo sono dato: il tasso di malattia di questi due mesi è in linea con la media dell’anno. «Abbiamo tutti mogli e bambini a casa – osserva Carmine – e in questo mestiere si rischia sempre: epatiti, hiv, Covid 19. Ciò ci rende più prudenti e comunque l’Amsa ci ha rifornito di ogni dispositivo di protezione necessario». Quello dell’operatore ecologico non è un mestiere come gli altri. Carmine l’ha scelto, dice, «perchè posso stare all’aria aperta, con la gente, e aiutare la mia comunità». È cattolico. Ha pregato insieme ai suoi amici su Zoom, aspettando che riaprissero le chiese. E ogni giorno ritorna a disinfettare postacci come il boschetto di Rogoredo, un tappeto di sangue e siringhe. O perlustra le periferie, per ritirare i materassi abbandonati, che «quando ne porti via uno stai sicuro che all’indomani ne troverai altri due». Mestiere particolare, il suo, anche senza coronavirus. Invisibile. Pochi sanno che la monnezza non se ne va da sola all’inceneritore.

Carmine Blasi, milanese del Tavoliere, nato sotto la Madonnina solo perché suo padre venne a lavorare in fonderia, cammina lesto sotto la pioggia e stasera tornerà a Sesto San Giovanni, dalla moglie e i quattro figli. Anche lui dovrà aspettare parecchio per tornare a divertirsi nei locali, con la chitarra elettrica e gli Ultra Violet, la sua band stile U2. Questi due mesi, però, non sono trascorsi invano: «Ho incontrato più d’una persona che ci ringrazia e, certo, fa piacere, anche se noi rispondiamo che è solo il nostro lavoro». Quello di portar via tonnellate di sacchi potenzialmente contagiosi. Quel che Manzoni definiva «purgare la roba infetta...» Carmine sorride: «Sì, certo, all’inizio quando sentivi qualcuno starnutire, trasalivi. Ma poi, come ho spiegato ai miei figli, o te ne stai chiuso in casa o esci a vivere, a dare il tuo contributo». E loro, i figli? «Mi guardano quasi come un eroe…». Quasi? Arrossisce. Questa frase racchiude il senso della paura e del coraggio, tutto insieme. Mentre da un muro ammicca il solito Verdone. Il titolo del film? «Si vive una volta sola».

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