venerdì 14 febbraio 2020
Imprenditori, commercianti e intellettuali: «La sinofobia? È il segno che il Paese ancora non ci conosce» Lacrime e cartelli di gratitudine dai venti turisti cinesi dimessi ieri dallo Spallanzani
I cartelli dei turisti cinesi dimessi dallo Spallanzani

I cartelli dei turisti cinesi dimessi dallo Spallanzani - Ansa

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«L’Italia ci ama. Ma la verità è che c’è una fetta di Paese che da sempre esprime tendenze sinofobe. Il coronavirus, da questo punto di vista, è soltanto un alibi». Marco Wong, imprenditore di 56 anni nato a Bologna, una vita divisa tra Prato (dove è anche consigliere comunale) e Roma, non è stupito dall’ondata di paura e o dagli episodi di razzismo generati dalla psicosi da coronavirus. Sua moglie qualche giorno fa, al supermercato, s’è accorta che nessuno si era messo in coda dietro di lei. «Una coincidenza? Non credo, ma ripeto, sono tante le persone di origine cinese che hanno vissuto almeno una volta sulla propria pelle un episodio di sinofobia, c’è una parte della società che esprime questi sentimenti negativi».

E dipende da dove si vuol guardare. Wong si concentra sulla realtà “speciale” di Prato, che ospita una tra le più grandi comunità cinesi d’Europa, e dove negli ultimi giorni sono fioccati iniziative di solidarietà. L’ambasciata cinese a Roma, invece, guarda altrove: «Il panico che si sta diffondendo nella comunità cinese non è dovuto all’epidemia, ma alla sicurezza. In questi giorni si sono verificate delle aggressioni ai cinesi in Italia, non turisti ma la comunità cinese – ha detto il funzionario Zhang accompagnando i venti connaziomali dimessi ieri dallo Spallanzani all’aeroporto –. Invito gli amici italiani a dare attenzione alla sicurezza dei nostri connazionali che vivono e lavorano qui. Evitare pregiudizi e aggressioni e insulti e minacce ai cinesi in Italia: non sono tollerabili. Lancio un appello». Parole dure. Il riferimento è all’ultimo, gravissimo episodio di Torino, dove mercoledì una coppia di giovani cinesi da anni in Italia è stata aggredita a colpi di bottiglia da un gruppo di ragazzini: «Voi siete il virus», urlavano. Per quel gesto la Procura ha aperto un fascicolo per il reato di lesioni e minacce, aggravate dall’odio razziale. «Sicuramente queste aggressioni sono gravissime, però la maggior parte degli italiani ci è molto vicina» spiega Lucia King, portavoce della comunità cinese a Roma. Cita il «messaggio bellissimo ricevuto stamattina dalla console italiana a Guangzhou, Lucia Pasqualini. Mi ha scritto per dirmi: “Io rimango qui, non ho paura e mi fido”».


Le parole del consigliere cinese di Prato, Marco Wong: il vostro Paese ci ama, ma da una fetta della società arrivano ancora sentimenti negativi. L’antidoto? È la conoscenza

Il pensiero dei cinesi d’Italia, piuttosto, «corre alla Cina in questo momento. Stiamo cercando di reperire materiale sanitario per spedirlo in patria: in queste ore ci sarà un aereo speciale del governo italiano con l’Onu. È urgente aiutare la gente che sta laggiù». Che la Cina sia diventata parte del vissuto quotidiano italiano, aprendosi alla nostra cultura, ma che sconti ancora «un senso di estraneità da parte degli italiani» è invece la tesi di Elisa Giunipero, direttrice dell’Istituto Confucio dell’Università Cattolica di Milano (l’ente ufficiale del governo di Pechino per la divulgazione della lingua e della cultura cinese all’estero): «Questa distanza si sta trasformando in queste ore in paura, se non addirittura in ostilità. L’antidoto? È la conoscenza, lo studio, l’incontro che ogni giorno testimoniamo nel nostro istituto, per esempio, tra studenti italiani e cinesi. Vederli attivarsi, preoccuparsi, persino arrabbiarsi per dover rinunciare al prossimo semestre di studio in Cina (abbiamo dovuto rinunciare agli interscambi per ora) è rincuorante». L’altro volto della psicosi sono i cartelli e le lacrime di commozione con cui proprio i 20 turisti cinesi dimessi ieri dallo Spallanzani hanno testimoniato la loro gratitudine all’Italia: «S’è creato un legame forte – confessano gli infermieri – con questi “pazienti per caso”». Famiglie, bambini. Ore e ore in un reparto separato, in piccole stanze. La normalità ricreata quanto possibile. La mattina il “saluto al sole”, la ginnastica. La sera il tè coi bollitori messi a disposizione dall’ospedale. E poi la completa disponibilità dei camici bianchi ad assecondarli, farli sentire a loro agio, i panini del fast food, ma anche i piatti cinesi, ovviamente la pizza. «Loro non sono tanto per il contatto fisico, però poi sono stati abbracci, foto, baci». Qualcuno ha raccontato che dall’ospedale sarebbero stati dimessi mercoledì sera, ma che non avrebbero trovato un hotel disponibile ad accoglierli o taxi che ce li portassero: un’altra fake news, smentita proprio dallo Spallanzani, e tuttavia capace di alimentare nuovi malumori nella comunità cinese. Loro, i turisti dimessi, hanno lasciato l’ospedale sorridenti, coi palloncini e i fogli scritti a mano: «Grazie Italia!».

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