giovedì 10 settembre 2020
Il dramma dei 4mila minori del campo profughi sull'isola greca di Lesbo distrutto da un incendio dopo giorni di protesta per il rischi contagio e scontri con la polizia
Bambini si aggirano in quel che resta del campo profughi di Moria dopo il rogo

Bambini si aggirano in quel che resta del campo profughi di Moria dopo il rogo - Msf

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«Alle 22 ero in tenda, quando ho sentito persone che gridavano: al fuoco!». A. A. ha 16 anni, è un richiedente asilo d’origine afghana e uno dei 4mila minori presenti fino a ieri nel campo di Moria. L’incendio che ha devastato l’enorme tendopoli sull'isola greca di Lesbo lo ha vissuto in presa diretta. «All’inizio pensavamo che fosse un piccolo rogo, come altri in passato. Poi ci siamo resi conto della situazione». Insieme ad altre migliaia di profughi, A. ha cercato riparo dalle fiamme: «Abbiamo trascorso la notte in strada. Ogni cosa è stata distrutta dal fuoco. La polizia sta rintracciando le persone che hanno abbandonato il campo, ma non sappiamo dove li portino. Spero che nessuno abbia perso la vita nelle fiamme...».

Il ragazzo è amico di N. A. (il 17enne afghano che i lettori di Avvenire conoscono come Nico). A Lesbo da agosto, in attesa di conoscere l’esito della richiesta d’asilo, Nico viene sostenuto da Filippo e Fabiola Bianchini, i coniugi che l’hanno accolto nella casa famiglia di Atene della Comunità Papa Giovanni XXIII: «A Moria, dopo l’incendio, non esiste più neanche l’ufficio asilo – racconta Fabiola –. Proprio ieri avevamo ricevuto una risposta informale secondo cui a Nico sarebbe stato rifiutato l’asilo. E ora lui doveva andare a ritirare la comunicazione, per poter impugnare la decisione in appello. Ma adesso è tutto bloccato e non sappiamo cosa accadrà». Nico è minorenne (anche se le autorità greche finora non intendono prenderne atto) e pertanto non espellibile, in accordo con le convenzioni internazionali.

In condizioni analoghe, fa sapere l’Acnur, si trovano altri 407 minori non accompagnati, presenti a Moria insieme ad altri 'vulnerabili' come anziani e donne incinte. «Quando ho visto il fuoco, ho preso i bambini e ho gridato a mia moglie di sbrigarsi – racconta un profugo afghano –. Ma non abbiamo fatto in tempo a prendere cibo, vestiti o sacchi a pelo. Le fiamme hanno bruciato tutto: i panni, i nostri documenti e la tenda. Tutti odiavamo Moria, era come una 'prigione preventiva'. Ma ora siamo per strada, con migliaia di altre persone frastornate, non sappiamo cosa fare, dove andare, come mangiare o dove dormire».

La preoccupazione maggiore delle Ong è per i bambini senza famiglia: «Sono spaventati, affamati e infreddoliti e sono a rischio di violenza e sfruttamento», avverte Karen Mets di Save the Children. A 150 di loro, l’Unicef ha offerto un riparo, trasformando il centro «Tapuat», nei pressi di Moria, in un rifugio d’emergenza. Ma per gli oltre 400 minori non accompagnati, la soluzione potrebbe essere il trasferimento in strutture d’accoglienza sulla terraferma, come ha chiesto la commissaria europea agli Affari interni Ylva Johansson. Se così fosse, anche Nico potrebbe tornare alla casa famiglia di Atene, dove Fabiola e Filippo lo attendono con ansia.

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