martedì 22 maggio 2018
Lo ha stabilito il super-perito nominato dalla Procura che sta indagando sul gravissimo incidente sul lavoro dello scorso 16 gennaio
I soccorsi alla Lamina di Milano

I soccorsi alla Lamina di Milano

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Alla Lamina di Milano, dove il 16 gennaio sono morti quattro lavoratori che avevano respirato le esalazioni di gas argon del forno sotterraneo per la fusione dei metalli, «non c’erano sistemi di sicurezza adeguati». Lo scrive il consulente della Procura incaricato dai magistrati che seguono le indagini di fare chiarezza sulle cause che portarono alla morte di Giuseppe Setzu, 48 anni, Marco Santamaria, 43 anni, Arrigo Barbieri, 57 anni e, dopo quaranta ore di agonia, di suo fratello Giancarlo, 61 anni. Da oltre quarant’anni in Lamina, Barbieri, ormai in pensione, era rimasto in azienda per formare i giovani operai. Secondo il perito, nella fabbrica teatro di questa, ennesima, gravissima strage di lavoratori, erano presenti «difetti tecnici e organizzativi che hanno portato ad una cattiva gestione del rischio e gravi lacune nelle procedure di sicurezza e nei sistemi di controllo».

Mancavano le procedure per la prevenzione degli infortuni

In particolare, si legge nella perizia depositata in Procura, che indaga per omicidio colposo plurimo, alla Lamina mancavano le «procedure di sicurezza per i rischi connessi all’uso di gas argon per l’ingresso nell’ambiente confinato della fossa e durante il lavoro al suo interno» e non c’erano nemmeno «procedure di sicurezza sulla utilizzazione della centralina di allarme del livello di ossigeno, in particolare sulla gestione della funzione di tacitazione» dell’allarme stesso.
Nel documento degli esperti, tra le varie lacune in tema di sicurezza viene segnalata l’assenza dello «specifico documento di “Valutazione del rischio”» e la mancanza della «identificazione formale dei rischi connessi all’uso di gas argon in fossa». Assente, si legge ancora, anche «un documento di gestione delle emergenze (e sulla definizione di cosa debba considerarsi un’emergenza) connesse all’uso di gas argon in fossa».

Nessuna formazione sulle emergenze

Una «evidente emergenza», scrive il consulente della Procura, «è la presenza di persona priva di sensi entro la fossa». In tale caso, «deve essere definito come operare» e «nel caso in esame non era disponibile una procedura per la gestione dell’emergenza». E «mancando una definizione delle procedure da adottare in caso di emergenza è mancata anche la relativa formazione, va da sé anche l’addestramento, all’applicazione delle procedure».
Come spesso accade in incidenti in vasche, fosse o silos, gli operai restano intossicati nel tentativo di salvarsi l’un l’altro, intervenendo nell’immediatezza dell’incidente senza indossare i previsti dispositivi di protezione individuale, come, per esempio, la maschera e il respiratore.

Ispezioni e violazioni diffuse

Situazioni come quella rilevata alla Lamina non sono così infrequenti in Italia. Stando all’ultimo Rapporto annuale dell’Ispettorato nazionale del lavoro, nel 2017 delle 22.611 aziende, in gran parte del settore edile, controllate dagli ispettori ministeriali per la verifica del rispetto delle leggi sulla salute e sicurezza dei lavoratori, 17.580 sono risultate irregolari, ovvero il 77% del totale, con un aumento del 3,5% rispetto al 2016. Le violazioni riscontrate sono state 36.263, di cui 28.364 penali e 7.899 amministrative. Complessivamente, nel corso del 2017 sono state ispezionate 160.347 aziende, riscontrando 103.498 casi di irregolarità, pari al 65% del totale. I lavoratori risultati irregolari sono stati 252.659 (+36% rispetto al 2016), di cui 48.073 totalmente in nero.

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