mercoledì 17 novembre 2021
Ogni giorno i 33 professionisti di "Medycy na Granicy" intervengono nella boscaglia sul confine. Il governo nega loro l’accesso all’area in stato di emergenza «ma in tanti ci sostengono»
Guerra sulla pelle dei più deboli. Medici e infermieri polacchi, nonostante il governo di Varsavia che nega loro l'accesso alla zona e gli interventi umanitari, curano i migranti al confine tra Polonia e Bielorussia

Guerra sulla pelle dei più deboli. Medici e infermieri polacchi, nonostante il governo di Varsavia che nega loro l'accesso alla zona e gli interventi umanitari, curano i migranti al confine tra Polonia e Bielorussia - Medycy na Granicy

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Arriva la chiamata d’emergenza e la squadra di turno entra in azione: un medico, un infermiere e un paramedico, sulle tracce di chi si trova in difficoltà da qualche parte nella fitta boscaglia di Bialowieza, che si estende per chilometri tra Polonia e Bielorussia. In uno degli interventi al confine, il team di "Medycy na Granicy" (Medici sulla frontiera) si è trovato a soccorrere una donna siriana che vagava per i boschi con una bambina di due anni. Quando i volontari l’hanno raggiunta, la donna non era più in grado di camminare. Grave ipotermia, la diagnosi. La bambina era seduta accanto a lei, nel profondo della foresta.

Da un mese, ogni giorno e a tutte le ore, i 33 professionisti sanitari di Medycy na Granicy, colleghi di corsia e amici di vecchia data, rispondono agli Sos delle diverse Ong impegnate sul lato polacco della frontiera. «Ci siamo riuniti all’inizio di questa crisi. La nostra base è Bialystok, nella Podlachia, ma riusciamo a intervenire lungo tutto il confine», assicura al telefono Jakub Sieczko, anestesista e coordinatore del gruppo.

«Siamo a 700 metri dall’area di confine posta in stato di emergenza, interdetta a Ong e media, per la quale a settembre abbiamo presentato richiesta formale d’accesso al ministero degli Affari interni. È stata respinta. Diamo assistenza a chi riesce a uscire da quella zona ma si perde, resta nascosto, a chi è nei boschi da giorni o settimane. Riscontriamo casi di ipotermia, disidratazione, disturbi gastrici, malnutrizione, traumi e ferite a piedi, viso e occhi perché ci si muove al buio, tra i rami. Senza medicinali, chi ha patologie croniche peggiora».

Ci dice della sorpresa di trovare un alto numero di donne incinte (e di dovere eseguire ecografie fra gli alberi, nell’oscurità) e dei tanti minori. «Una notte, in un gruppo di 32 persone, abbiamo contato 16 bambini». Difficile talvolta convincere i pazienti critici a ricoverarsi, temono di venire denunciati o prelevati dalle autorità direttamente in corsia, come accaduto nell’ospedale di Hajnówka. Negli ultimi giorni, due episodi hanno turbato il lavoro del team: il ritrovamento dell’ambulanza con le gomme sgonfiate e «del personale in uniforme che si allontanava a bordo di un mezzo dell’esercito polacco» e il danneggiamento, domenica, delle auto dei volontari.

«Questa è una regione in cui il movimento nazionalista è forte – spiega Sieczko –. Eppure ampia parte della società polacca ci appoggia. Ad inizio attività in tre giorni abbiamo raccolto 80mila euro di donazioni. Anche la solidarietà dei colleghi è stata commovente. Abbiamo ricevuto molte proposte di medici e infermieri che volevano unirsi a noi. Per il primo soccorso, poi, a centinaia tra residenti locali e volontari di altre Ong hanno partecipato ai nostri corsi. Disponiamo di risorse, equipaggiamento, personale e competenze, l’unica cosa che ci manca è la firma del Ministero per recarci là dove la crisi è più acuta».

Un gruppo di rettori di università e presidenti di società scientifiche ha scritto al ministro degli Interni Mariusz Kaminsky per esortarlo a concedere il permesso. Poi c’è la forza che arriva dalla rete, dai 20mila follower sui social media.

Un sostegno che ha garantito interventi costanti, compreso quello di Agata Bryk, infermiera di Varsavia che online racconta della sua prima uscita in team: «Dalla boscaglia ho visto che qualcuno tendeva la mano. Ho scostato il cespuglio, come se avessi aperto la porta di una casa ed ecco tutta una famiglia: la nonna con un dolore alla schiena, donne, bambini e uomini, uno con la febbre alta. Con loro possiamo trattenerci solo un momento, dare sollievo e cure. Poi si torna alla base, mentre loro rimangono lì. E questa forse è la parte più difficile».




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