lunedì 6 aprile 2020
Intervista al direttore Luciano Gualzetti: «Una società più solidale è la vera risposta all'epidemia. Povertà, carcere, immigrati: i nodi sono venuti al pettine»
Luciano Gualzetti (Caritas Ambrosiana)

Luciano Gualzetti (Caritas Ambrosiana) - Romano Siciliani

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«A giorni il Fondo San Giuseppe inizierà a erogare le prime risposte. Le richieste d’aiuto arrivate finora sono un centinaio. Questo nuovo strumento voluto dalla diocesi di Milano prevede erogazioni a fondo perduto per chi ha perso il lavoro e il reddito, non ha altre forme di sostegno né viene coperto dalle misure governative – spiega il direttore di Caritas Ambrosiana, Luciano Gualzetti –. Sono situazioni che richiedono risposte tempestive: in questo ci aiuta il Fondo Famiglia Lavoro con la sua rete sperimentata».

E in questo saranno preziose le 255 donazioni per un totale di 135mila euro arrivate al Fondo San Giuseppe nei primi dieci giorni dopo il lancio – ha reso noto il vicario episcopale per la Carità, monsignor Luca Bressan, diffondendo dati aggiornati al 3 aprile scorso – che vanno ad aggiungersi alla dote iniziale di 4 milioni di euro, due stanziati dalla diocesi, due dal Comune di Milano, e a quanto sta raccogliendo Caritas Ambrosiana, anche tramite altri canali. «Oggi si tratta di “tamponare” la crisi sociale scatenata dall’emergenza sanitaria. Ma questo non basterà – riprende Gualzetti –. Dentro una crisi che potrebbe durare anni, la vera sfida sarà cambiare questa società e quest’economia che generano precarietà e fragilità, dove chi vince, vince tutto e chi perde si deve accontentare delle briciole, della beneficienza, o di bussare alla porta della Caritas. È una sfida anche per noi: la Caritas deve evitare di restare schiacciata sulla logica assistenziale, anche se porta applausi. Mentre invece – scandisce il direttore – dobbiamo custodire e rilanciare la nostra capacità di andare al cuore di quelle ingiustizie e squilibri che l’emergenza coronavirus enfatizza e restituisce come insostenibili».

Milano: si scarica materiale sanitario donato dai cattolici cinesi

Milano: si scarica materiale sanitario donato dai cattolici cinesi - foto Caritas Ambrosiana

Come state affrontando il drammatico impatto sociale dell’epidemia?
Con strumenti antichi e nuovi. È nuovo, ad esempio, il Fondo San Giuseppe, partito con una dote di 4 milioni, che piccole e grandi donazioni ci stanno aiutando ad accrescere. Sono una realtà consolidata i 130 centri d’ascolto parrocchiali che oggi ci permettono di aiutare 16.500 famiglie con la consegna di pacchi viveri. I nostri otto «empori della solidarietà» sono sottoposti a una pressione inedita: siamo arrivati a distribuire 5,5 quintali di cibo al giorno. I magazzini rischiano di esaurirsi, dobbiamo rimpolparli.

Quali sono le categorie sociali più colpite?
Tutte quelle lasciate nella precarietà e fragilità da questo sistema economico e sociale. Come chi ha lavori poco o nulla tutelati. Come le famiglie numerose. Come i senza dimora. Tenere aperti i centri d’ascolto ci permette di non lasciare solo chi è reso ancora più solo e fragile dall’epidemia. Allo stesso modo, pur con le precauzioni richieste dall’emergenza, stiamo tenendo aperti i servizi di mensa e di accoglienza per i senza dimora, le case protette per vittime di tratta, le comunità per minori stranieri non accompagnati, la casa alloggio «Teresa Gabrieli» per pazienti affetti da Hiv–Aids e i centri d’accoglienza per stranieri, quelli convenzionati con le Prefetture come quelli in carico a noi.

Quali sono invece le ricadute dell’epidemia su questi servizi?
Faccio un esempio: i centri d’accoglienza per stranieri restano attivi, ma senza poter svolgere quelle attività orientate all’integrazione come la formazione o l’inserimento lavorativo. A proposito di stranieri: speriamo che i Comuni, riguardo ai criteri di ripartizione degli stanziamenti deliberati dal governo per aiutare chi è in difficoltà, non facciano discriminazioni e non seguano il criterio del «prima gli italiani». Sarebbe illogico, ingiusto e dannoso per tutti, quando ora la sfida è non lasciare indietro nessuno.

Carcerati inclusi...
Sì, come facciamo con i 25 posti in strutture della diocesi ora messi a disposizione di detenuti che potebbero beneficiare di misure alternative ma non hanno un domicilio. Il sovraffollamento è un problema cronico delle nostre carceri, che il coronavirus ha aggravato. Questa epidemia fa venire al pettine i nostri nodi irrisolti. La sofferenza delle famiglie numerose e il lavoro precario bruciato in questo tempo ci mostrano, ad esempio, come abbiamo bisogno di vere politiche per le famiglie, di politiche contro la povertà, di un’economia dove il lavoro sia tutelato... Anche il nostro sistema sanitario, con le sue potenzialità, ha mostrato limiti sul piano della prevezione e del presidio del territorio che l’epidemia ha messo a nudo.

Il virus ci ha chiusi in casa. Rischia di chiudere anche i nostri cuori?
Il rischio c’è. Ma quel che vedo, innanzitutto, è una dinamica solidale fantastica. La vedo nell’impegno eroico degli operatori sanitari come, su un altro piano, nei giovani che hanno risposto all’appello al servizio che abbiamo lanciato con Pastorale giovanile e Fondazione oratori milanesi. La vedo nelle raccolte fondi avviate dalle diocesi della Germania, nei centomila dollari arrivati dagli Stati Uniti grazie al Catholic Relief Services, nel materiale sanitario donato dai cattolici della Cina e già distribuito ai nostri servizi e ad altre realtà come Opera San Francesco o Fondazione Don Gnocchi... Con l’emergenza coronavirus è come se il futuro ci fosse piombato addosso, ci avesse attraversati. Sta a noi non farci prendere dal panico, non rinchiuderci e costruire una società più giusta, coesa e solidale.

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