martedì 14 gennaio 2020
La neve cominciò a cadere la sera del 13 gennaio. Chi si affacciò alla finestra quella notte, a Milano, rimase a guardare meravigliato la nevicata che si faceva sempre più fitta. All’alba del 14...
Gennaio 1985: a Milano cadono 90 centimetri di neve

Gennaio 1985: a Milano cadono 90 centimetri di neve - Fotogramma

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La neve cominciò a cadere la sera del 13 gennaio. Chi si affacciò alla finestra quella notte, a Milano, rimase a guardare meravigliato la nevicata che si faceva sempre più fitta. All’alba del 14, la città era già coperta da una abbondante coltre, ma la neve non smetteva di cadere: lenta, generosa, a larghi fiocchi. Già il traffico - allora non si usavano in città le gomme da neve - andava paralizzandosi. Andammo tutti a lavorare paludati come eschimesi, con gli stivali di gomma e i doposci. A mezzogiorno, in un freddo rigidissimo, la nevicata continuava imperterrita. Dalle finestre degli uffici la gente guardava fuori, stranita quella Milano sommersa e candida. Appena fuori, nei prati delle periferie, sembrava steppa russa, non pianura padana. E ancora non voleva smettere di nevicare. Un metro e mezzo di neve, alla fine, una cosa mai vista da noi. Nessuno, neanche dei vecchi, ricordava di aver mai sentito di niente di simile. Furono giorni straordinari. Di paralisi, certo, con gli autobus che si bloccavano per strada, i camion di traverso, e perfino l’esercito con i carrarmati, a cercare di riaprire i grandi viali periferici. Con i ragazzi di leva di mezza Italia chiamati a spalare, e gente anziana o malata isolata in casa, e bisognosa di aiuto. Ma chi era ragazzo o giovane in quel gennaio 1985 ricorda come fu bello, quel giorno, camminare per una irriconoscibile Milano, il grigiore nostro quotidiano trasfigurato in un candore fiabesco.

Ci fu chi uscì con gli sci, chi con la slitta. I bambini erano pazzi di gioia, il 14 gennaio 1985 a Milano. Ma anche gli adulti, pure nel caos di una metropoli bloccata, scoprirono qualcosa, della loro città, di nuovo. Era la generosità e perfino l’allegria con cui i passeggeri degli autobus fermi scendevano e, incredibile, spingevano, per sbloccare le ruote. Dai marciapiedi i passanti li incitavano in dialetto, come tifassero per il Milan allo stadio. C’era poi chi aiutava un altro a mettere le catene alle ruote, chi liberava la porta di un vecchio vicino. Volonterosi conciliaboli si allargavano attorno alle auto che, pure disseppellite, non volevano saperne di partire. Che cosa strana: la stessa popolazione che normalmente appariva frettolosa, distratta, fredda, in quell’emergenza collettiva mostrava una solidarietà e perfino un buon umore, che non avevi visto mai.

Almeno, chi aveva vent’anni non l’aveva mai vista. Per noi, la grande neve del gennaio 1985 fu anche la scoperta di un cuore della nostra gente, che non sapevamo di avere. Come se, in fondo, qualcosa, anche in quegli anni bui di terrorismo e di paura, ci tenesse solidamente assieme. Come se, in fondo, la nostra vera natura emergesse, e ci portasse a essere amici.

Durò due o tre giorni, fin quando le strade furono in qualche modo sgomberate: le auto se le ripresero, caotiche, i clacson rabbiosi se appena quello davanti tardava a ripartire al verde. Le grida allegre dei giovani che insieme spingevano i bus paralizzati, svanite. La straordinaria nevicata di quel gennaio forse ci aveva fatto un regalo: quarantotto ore in cui vedere il prossimo con un altro sguardo.

Poi la neve svanì, e Milano tornò quella di prima.

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