mercoledì 22 agosto 2018
Il 24 dicembre il gesto di papa Wojtyla, «a mani nude, senza impugnare armi ideologiche». Comincia il Giubileo delle genti. Tutto Avvenire si mobilita
Il 25 dicembre 1999 il Papa apre la Porta Santa nella Basilica di San Pietro (Ansa)

Il 25 dicembre 1999 il Papa apre la Porta Santa nella Basilica di San Pietro (Ansa)

COMMENTA E CONDIVIDI

Il Giubileo dei soli cattolici romani? No, il Giubileo di tutti: il perdono, il riscatto, la libertà, la novità offerti a ogni persona e a ogni popolo. Un dono della Chiesa a chiunque sappia apprezzarlo. Un dono da fratelli, senza paternalismi né aria di superiorità. Questo fu il Giubileo del 2000 e il titolo di Avvenire del 28 dicembre 1999, quattro giorni dopo l’apertura della Porta Santa, è chiarissimo: «È cominciato il Giubileo delle genti». Occhiello altrettanto emblematico: «Il Papa, sotto gli occhi del mondo, apre a mani nude la Porta Santa». La apre "a mani nude". Non impugna armi, materiali o ideologiche; non giudica nessuno; non ha nemmeno difese. Questo è il Giubileo.

C’è un vuoto di quattro giorni tra l’apertura della Porta, la sera del 24, e l’uscita di Avvenire il 28, complici il Natale e una domenica. Il 28 sono dedicate al grande evento le prime nove pagine. Nella Basilica c’era davvero il mondo intero: «Cinque secoli dopo la rottura, secolo difficile per l’istituzione ecclesiastica, di secolarizzazione e di ateismo - è la cronaca di Lucetta Scaraffia - San Pietro era gremita di volti di tutti i continenti». Una vera «festa nuziale - scrive Domenico del Rio - perché il perdono di Dio che scende sull’uomo non è qualcosa di tetro. Il Giubileo è letizia».

Nelle pagine interne, Danilo Paolini è tra i pellegrini giunti a Roma; Pino Ciociola pranza con barboni, immigrati e malati nella Basilica di Santa Maria in Trastevere, trasformata in banchetto per gli ultimi dalla Comunità di Sant’Egidio; Massimo Bernardini intervista Ermanno Olmi, direttore artistico della diretta organizzata da Raiuno («Che cosa mi ha più colpito? I silenzi veri del Papa, l’intimità con Dio che comunicavano a ciascuno di noi. Non ho voluto sovrapporvi nulla, né musica né commento»); Mimmo Muolo è tra la folla in piazza San Pietro, 60 mila persone con tantissimi bambini; Luigi Geninazzi è inviato a Betlemme dove incontra il nunzio Pietro Sambi; Carmine Germani riferisce delle celebrazioni natalizie nelle principali cattedrali italiane; Elio Maraone interpella i laici; Angelo Picariello raggiunge gli alluvionati in Irpinia; Claudio Monici è inviato al confine tra Kenya e Sud Sudan… E altro ancora.

L’intero Avvenire è e sarà mobilitato. E aveva cominciato da tempo. I due inviati all’estero, ad esempio. Sul giornale del 24, Geninazzi a Betlemme (titolo: «L’antica città di Davide è fresca di maquillage per il Giubileo») racconta la Messa del patriarca Sabbah concelebrata con i vescovi di rito orientale melchita, maronita, armeno e siriano, evento tutt’altro che usuale. E Monici, dal Sud Sudan, racconta la storia di Niemesi, giovanissimo ex schiavo privo di passato: «Unghie nere, piedi nudi, callosi e più duri di questi enormi alberi di mogano che ci fanno ombra. Mani che sono nodi». Giubileo vuol dire liberazione e futuro: ci sanno anche per i tanti anonimi schiavi di quello sventurato spicchio d’Africa?

Il 24 dicembre Avvenire offre sei ricche pagine sul senso del Giubileo. Francesco Antonioli intervista il cardinale Giacomi Biffi, arcivescovo di Bologna, che invita a puntare all’essenziale: «È il bimillenario di Cristo, tutto il resto non conta». Certo, è un Giubileo aperto alle religioni e alle genti, «purché Gesù Cristo, unico salvatore di tutti, non diventi l’unico sacrificato del dialogo interreligioso».

Qualche giorno prima, il 19 dicembre, Francesco Ognibene aveva intervistato Alberto Ablondi, vescovo di Livorno e vicepresidente della Cei. Che aveva invitato a riflettere sul senso di quella porta: «Venerdì notte vedremo il Papa aprire la Porta Santa a Roma: è il Giubileo, ma lo è anche quello delle nostre porte personali. Questa è la civiltà delle porte blindate. Non servono corazze e inferriate, ma porte aperte: questo sarà il Giubileo». Diverso ma non distante da Biffi. Ablondi infatti concludeva: «Il Giubileo deve corrispondere a una nuova centralità di Cristo nella vita della Chiesa, nella vita pubblica, nella nostra vita personale».

E il 24 dicembre, mentre Gad Lerner invitava i cattolici alla condivisione («Il Giubileo lo vivrete da soli, tra di voi, felici di riscoprirvi comunque in molti, oppure sarete capaci di viverlo con gli altri?»), Enzo Bianchi offriva ai lettori di Avvenire questa preghiera: «Cristiano, questa notte è l’ora propizia per meditare sulla porta della giustizia. Ma proprio per questo è anche la notte per meditare sulla porta del tuo cuore, della tua casa, della tua città: sono aperte per chi bussa? Sono porte che si aprono alla comunione oppure restano chiuse perché l’amor proprio, l’ingiustizia, l’orgoglio impediscono loro di aprirsi? L’anno giubilare con la sua porta aperta è tempo di grazia, stagione propizia per ascoltare il richiamo incessante del Signore: oggi ascolta la voce di Cristo e del fratello che bussa! Apri, e il non-senso della vita fuggirà dal tuo cuore; apri, e conoscerai la gioiosa comunione; apri, e una novità di vita si spalancherà davanti a te!».

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI