giovedì 7 febbraio 2019
Suore e laiche di vari associazioni percorrono le notti di Roma per prestare ascolto e aiuto alle ragazze sulla strada. O le aiutano a uscirne dalla rete. Ecco le loro storie
Foto Siciliani

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Un piccolo drappello di volontarie percorre la notte le strade della Capitale per offrire parole di conforto alle ragazze costrette a prostituirsi. Altri volontari seguono le giovani nel percorso di riappropriazione della propria identità, chi ancora ne accompagna gli studi, le prepara per sostenere un colloquio, o si impegna nella tutela della loro salute.

Sono le pendolari della carità, laiche e religiose che fanno la spola tra il Centro e la provincia di Roma, e che danno concretezza all’appello lanciato in occasione della Giornata mondiale di preghiera contro la tratta di persone, celebrata l’8 febbraio: quello di accendere una luce di speranza. E soprattutto, di non restare indifferenti davanti alle storie di chi ogni giorno con l’inganno viene portato via dal suo Paese di origine per divenire schiavo nell’ambito della prostituzione, dello sfruttamento lavorativo, di economie illegali, dell’accattonaggio forzato o del traffico di organi.

«Una domenica a Messa - racconta Raffaella Merenda, volontaria del Gruppo Raab - ho ascoltato l’invito del vescovo che chiedeva di offrire supporto alle vittime della tratta. Non so perché ma l’ho sentito subito mio, ho avvertito come una chiamata che mi portava a non lasciar cadere questo invito. E così, dopo alcuni incontri di formazione, abbiamo costituito un servizio attivo soprattutto in zona Marconi, il quartiere dove abitiamo. Ogni volta che vedevo queste ragazze mi domandavo cosa potessi fare per loro. Con il gruppo Raab ho scoperto come essere una presenza viva, un segno che possa donare e donarci speranza».

Enkolina Shqau, referente antitratta del Lazio per la Comunità di don Benzi, opera in diverse zone della Capitale, da Tiburtina a Cinecittà, insieme a un gruppo di giovani tra i 18 ai 24 anni. Ogni venerdì si mettono all’ascolto, invitando le donne a gesti di fiducia per uscire dalla tratta. Sono oltre 20 le ragazze di Lazio e Campania che la Comunità Papa Giovanni XXIII ha aiutato a uscire negli ultimi anni dal giro della prostituzione. «All’inizio - racconta - non riescono a fidarsi di noi e solo dopo oltre un anno cominciano a parlarci della loro storia. Sono vicende dolorose, sempre toccanti, a volte con un lieto fine. Anche lo Stato dovrebbe fare la sua parte, non si può far finta di non vedere».

C’è poi suor Nieves, della congregazione delle Suore ancelle adoratrici del SS. Sacramento e della Carità, fondata in Spagna nel 1856 proprio per la presa in carico delle giovani donne in prostituzione. Lavora in rete con altre comunità e accompagna personalmente le ragazze seguendole in tutte le procedure che riguardano il rilascio di documenti. «Quando sono con loro - rivela suor Nieves - spesso ho come la sensazione che si sentano fuori dal proprio corpo; non sono a proprio agio perché sono state trattate a lungo come un oggetto da parte di clienti e sfruttatori. Una volta una ragazza mi ha detto: “oggi è il primo giorno che mi trucco per me stessa”. È stato molto significativo. Queste donne non sono prostitute ma “prostituite”».

Sr. Mary Chinyeribeh, delle Suore ospedaliere della Misericordia, opera invece al Centro di identificazione ed espulsione CIE di Ponte Galeria. Fa parte dell’Associazione Slaves No More, fondata nel 2012 da Suor Eugenia Bonetti, che ha avviato un progetto di rimpatrio assistito rivolto in particolare alle donne nigeriane. «Ogni sabato siamo lì - spiega - ed è importante che continuiamo il nostro lavoro per dare loro coraggio e calore umano. Passano 24 ore su 24 senza fare niente, per cui il nostro servizio vuole essere quello di donare loro un momento di ascolto e di conforto».

Suor Vincenza Morelli è una suora speciale: una suora tuttofare. Si divide tra il servizio in collaborazione con il Centro Astalli per l’accoglienza alle donne rifugiate presso la Casa generalizia delle Suore della Carità di Santa Giovanna Antida, a due passi dalla Bocca della Verità, e quello di assistente sociale presso l’ospedale Spallanzani di Roma. «Queste persone sono molto fragili - dice - e hanno bisogno di recuperare la fiducia in se stesse per riprendere in mano la propria vita. È bello però vedere come, passo dopo passo, raggiungano i propri obiettivi: sono delle leonesse. E stupisce notare come le nostre storie poi si intreccino, producano cambiamenti anche su chi, come noi, è convinto di possedere sempre la verità».

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