venerdì 18 agosto 2017
Il segretario generale della Conferenza episcopale italiana su Rai Uno dopo l'attacco sulla Rambla da parte di un commando di terroristi islamisti
Nunzio Galantino, segretario generale della Conferenza episcopale italiana (Siciliani)

Nunzio Galantino, segretario generale della Conferenza episcopale italiana (Siciliani)

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“Ho paura di quelle identità che si formano, si rafforzano e poi sfociano nella violenza. Quel tipo di identità, per fortuna, non ci appartiene”. Lo ha detto, stasera, monsignor Nunzio Galantino, segretario generale della Conferenza episcopale italiana, intervenendo alla trasmissione di Rai Uno, “La vita in diretta”, dedicata agli attacchi terroristici in Spagna.

“Avere un’identità, dei valori in comune, qualcosa per cui spendersi e giocarsi la vita è bello, importante e decisivo. Da questo punto di vista, l’Occidente sta un po’ arretrando, ma se l’alternativa è avere un’identità tale da impedirci di vedere l’altro, di capire l’altro e di comprendere che anche l’altro ha diritto di vivere, di quella identità, che sia islamica, cattolica o cristiana, io non so che farmene”, ha aggiunto.

Rispondendo, poi, a una domanda su come vivere oggi la massima evangelica di “porgere l’altra guancia”, il segretario generale della Cei ha ricordato, innanzitutto, “cosa non vuol dire quella frase”: “Porgere l’altra guancia non significa stare in maniera fatalistica di fronte al male; piuttosto vuol dire all’altro, con i fatti, prima che con le parole, che esiste un altro modo di stare al mondo. Allora, porgere l’altra guancia non è invito alla passività e a subire quello che dall’esterno ci viene”.

Durante la trasmissione sono stati ricordati i due giovani italiani, Bruno Gulotta e Luca Russo, morti nell’attentato di ieri sulla Rambla a Barcellona. Alla domanda su cosa dire ai genitori delle vittime in questo momento, Galantino ha risposto: “Non mi sento di dire niente, ma di fare sentire loro la vicinanza silenziosa e partecipe a quello che stanno vivendo. Non penso sia questo il momento di dare spiegazioni, perché di fronte a questo tipo di morte, a questa violenza, non ci sono spiegazioni razionali da dare”.

Le contrapposizioni non portano da nessuna parte e fanno soltanto vittime. Questo è vero anche nelle nostre famiglie. Il bene comune è quello che abbiamo dimenticato, a livelli micro e macro. Se non si capisce che bene si sta insieme se non si alimentano contrapposizioni, ci sarà sempre qualcuno più armato di me che mi farà violenza. Questi violenti che ammazzano non sono solo armati, hanno anche il vantaggio dell’improvvisazione e dell’imprevedibilità”, ha poi detto Galantino.

Alla domanda su un uso della religione come “strumento di attacco culturale”, il presule ha risposto: “Quando non ce la faccio ad avere ragioni per dire all’altro che deve andare via, allora capita di ammantare tutto di religione e di ideologia. Questa è una strumentalizzazione della religione, perché la religione di per sé non permette di prendere a pedate l’altro”. Certo, ha proseguito il segretario generale della Cei, “come ho sempre detto e scritto, l’accoglienza e la mobilità vanno vissute in un regime di legalità, perché la legalità è il primo passo verso una politica di accoglienza intelligente”. Di qui l’invito a fare attenzione: “L’idea macchiettistica di qualche politico che vuol fare della Chiesa quella che dice: ‘Venite tutti’ non sta nella realtà di chi si sta spendendo e si sta positivamente sporcando le mani per accogliere e integrare le persone. Non stiamo facendo i complici di nessuno, ma i complici della vita”.

Monsignor Galantino ha fatto anche un appello ai media e ai social network a non “usare linguaggi violenti e armare anche la lingua contro gli altri”, ma a fare “spazio al dialogo e a parole, non buoniste: qui non si tratta infatti di buonismo, ma c’entra la ragione, il cuore, le mani, la voglia di creare argine con i fatti alla violenza”, perché “è violento chi ammazza ma anche chi resta indifferente”.

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