martedì 20 luglio 2021
Riccardo Moro: fu sbagliato chiamare tutti a raccolta a Genova, dopo i primi scontri. Saremmo dovuti venire via per lasciare soli i Grandi. Dallo Stato allora arrivarono risposte inqualificabili
Moro: «A Genova molti errori, ma le richieste erano giuste»
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Di quei giorni, Riccardo Moro ricorda tutto: l’incontro al Carlo Felice, la marcia pacifica due settimane prima del G8, la veglia di preghiera organizzata dai missionari con l’esposizione del Cristo campesino, il crescendo di quella che chiama «la violenza verbale» che portò poi agli scontri, i black bloc e l’orrore della Diaz. «Quando lanciammo le "Sentinelle del mattino", partimmo da una citazione di Giovanni Paolo II: non vi rassegnerete di fronte all’ingiustizia e alla guerra, ma sarete disposti anche a offrire la vita. Scrivemmo il Manifesto con un gruppo di ragazzini che aveva una tensione etica altissima, mai vista prima di allora. Scegliemmo come simbolo il volto di Martin Luther King...» spiega Moro, che allora si fece promotore di un documento condiviso dalle associazioni ecclesiali e che oggi è professore di Politica dello sviluppo all’Università Milano, nonché portavoce di "Civil 20", uno dei gruppi ufficiali che segue i lavori del G20. Adesso chiede, a nome della società civile, di garantire vaccini a tutti in tempo di pandemia. «Abbiamo uno spazio in più di dialogo coi Grandi, che nel 2001 non c’era» dice.

Quelli furono i giorni dell’assalto alla zona rossa e della violenza da parte della polizia.
Si cercò di tenere insieme anime diverse, dentro il movimento, ma qualcuno fece il proprio gioco, usando il Genoa Social Forum. Non c’era in tutti, purtroppo, la coscienza e la consapevolezza dei rischi cui si andava incontro. Quanto alla presenza dei black bloc, fece impressione la sicurezza con cui giravano in quelle vie. Era come se le conoscessero da sempre.

Facciamo un passo indietro. Prima del G8, il 2000 era stato l’anno delle grandi speranze aperte dal Giubileo con la campagna "Rimetti il debito". E nel ’99 era nato il "popolo di Seattle". Perché arrivò poi quella rottura?
Forse era inevitabile, perché non c’era da parte di tutti la volontà di camminare insieme. Seattle fu una sorpresa, ma aveva già dentro di sè alcune delle contraddizioni che esplosero successivamente. Nella campagna del debito, invece, ci fu molta più coesione e si ottennero risultati. Il Giubileo aveva suscitato grandi speranze perché aveva risposto a istanze condivise, a Genova si presentarono pezzi di realtà diverse. Mancava una posizione comune, anche nei documenti ufficiali. Non c’era un’idea chiara della globalizzazione, tanto che molti di noi si erano spesi, e ancora si stanno spendendo, per chiedere un processo governato, fatto di regole e accordi. Non tutti la pensavano così, basti pensare all’opzione della violenza che alcuni ancora consideravano come legittima.

Quali furono invece le responsabilità delle istituzioni?
Gli errori e le lacune del movimento non mi impediscono di dire che, a distanza di 20 anni dai fatti, la risposta dello Stato all’epoca fu inqualificabile. Si determinò una situazione di paura, quasi allo scopo di suscitare nell’opinione pubblica la reazione più scontata: una domanda d’ordine. Come risultato politico, ci fu lo spostamento su politiche di impronta fascista. Mi chiedevo: "cui prodest" tutto questo? I veri vantaggi andarono a chi era più interessato a una globalizzazione selvaggia, senza regole. Qui ci fu un altro errore del Genoa Social Forum.

Quale?
Non avremmo dovuto invitare tutti a venire a Genova a manifestare. Avremmo dovuto dire: andiamo tutti via, lasciamo i Grandi da soli. Quella chiamata in massa invece esacerbò gli animi. Detto questo, le scene da macelleria messicana, la gente che piangeva per gli scontri, le strisce rosso sangue sui muri, i denti trovati per terra dopo i pestaggi furono pagine degne di un regime, non di una democrazia come la nostra.

Vent’anni dopo, cosa è cambiato?
Penso ancora che darsi regole comuni possa aiutare a tutelare la vita di tutti. La lezione arrivata con il fallimento di Lehman Brothers nel 2008 dimostra che il mercato deve funzionare meglio e che la società civile deve mobilitarsi per promuovere diritti che, altrimenti, verrebbero cancellati. Oggi poi c’è una sensibilità maggiore su alcuni temi, pensi al clima. In fondo, quel che chiedemmo 20 anni fa era giusto.

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