mercoledì 10 aprile 2019
Ma niente conferenza stampa, i leader si arrendono alla crescita al lumicino. È lite sull'Iva. Via le aliquote del 15 e 20% per la «tassa piatta»
Il ministro dell’Economia Giovanni Tria

Il ministro dell’Economia Giovanni Tria

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Niente conferenza stampa, niente dirette Facebook, niente esultanza sul balcone di Palazzo Chigi. Il Documento di economia e finanza, l’atto programmatico più importante del governo, viene varato dal Consiglio dei ministri nel silenzio con cui, di solito, si dà il via libera alle leggi regionali. Con due contendenti che hanno deposto le armi rispetto alla dura realtà della crescita allo «zero virgola» e ormai proiettati nella campagna elettorale europea, passa in pieno la linea del ministro dell’Economia Giovanni Tria: un Def a legislazione (quasi) invariata, senza sussulti, che tiene buoni i mercati e lo spread per prevenire l’impatto di una eventuale instabilità politica. Il Cdm dura 30 minuti.

La riunione precedente tra il premier Giuseppe Conte, Tria e i due vicepresidenti Luigi Di Maio e Matteo Salvini, si prolunga invece per tre ore. Tutta finalizzata a trovare equilibri verbali più che sostanziali sul nodo più grosso, la flat tax pretesa dal leader della Lega e aggiustata a misura di ceto medio dal capo politico del M5s. La 'tassa piatta', riferisce Salvini, è «citata due volte» nel Def. «Ma viene calata per il ceto medio, è la vittoria del buon senso», riprende Di Maio. Ciascuno con un piccolo trofeo da comunicare, ma quello più grosso lo mette in bacheca Tria: nel Documento, infatti, spariscono le due aliquote, 15 e 20%, in cui si dovrebbe articolare la flat tax. E l’impegno nell’attuazione resta generico, comunque ancorato al concetto di «progressività» e «sostenibilità ». «Staremo nelle regole Ue», aveva avvertito Tria con un’intervista a Repubblica senza (apparente) timore di essere poi smentito. La Lega prende atto. «Le stime sono diverse da quelle auspicate – dicono i dirigente del Carroccio in riferimento al Pil – e quindi la realizzazione del contratto richiederà più tempo».

In M5s, invece, si freme. Sono i pentastellati i primi a tirare fuori le voci di «tensioni» con Tria sul nodo-Iva. «Non ci sono sufficienti garanzie che non scattino le clausole», dicono dalla comunicazione M5s pochi minuti dopo la fine del Cdm. È noto che il ministro dell’Economia, da accademico, ha sempre sostenuto che un aumento misurato dell’imposta sugli acquisti non sarebbe un dramma. Da titolare del Tesoro, però, ha sempre smentito. E dalla Lega corrono a gettare acqua sul fuoco: «L’Iva non salirà», dicono gli uomini di Salvini. Ma è evidente che quello presentato ieri è un Def pronto a subire stravolgimenti in autunno, a ridosso della manovra, in base a mille fattori, realisticamente più negativi che positivi. Quantomeno, si sospira al dicastero dell’Economia, si è riusciti a non trasformare il Documento in un «volantino elettorale ». Analoghe considerazioni, sebbene più sfumate, vengono dall’entourage più stretto del premier Conte, che non sarebbe potuto tornare oggi in Europa con un «Def dei sogni».

Il presidente del Consiglio, nei rumors sulla riunione di governo, è stato descritto come molto determinato e irritato dalle continue contrapposizioni sia tra i partiti sia tra i partiti e il Tesoro. Ma quando ha potuto spendere una parola, Conte l’ha fatto più sul fronte delle proposte M5s per inserire il concetto di «ceto medio» nella realizzazione della flat tax e per esplicitare un impegno «sulla strada – si scrive nel Def – dell’alleggerimento del carico fiscale e della destinazione di maggiori risorse a favore delle famiglie, con particolare riguardo a quelle numerose e con disabili». Questo clima di stanca tensione produce effetti negativi sull’altro provvedimento atteso ieri al varo definitivo del Cdm, il decreto per i risparmiatori 'truffati' dalle banche. Dopo la riunione dei ministri, Conte, Di Maio, Salvini e Tria sono rimasti a lavorare sui «dettagli» della misura. Insomma, il testo subisce uno slittamento. Ma in questo Def «neutro» si inserisce uno spazio d’azione per il Parlamento, che dovrà 'approvarlo' con delle mozioni entro la fine del mese. C’è una timida possibilità che i gruppi di maggioranza e opposizione seguano la «linea Tria» e rinuncino alla «lista dei desideri», concentrando le loro indicazioni su famiglia e natalità. È una pista di lavoro apertasi ieri e che già oggi potrebbe trovare degli 'indizi' in Aula dove si votano ben sette mozioni su fisco e famiglia.

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