venerdì 13 aprile 2018
Le storie e le speranze di due ragazze madri e i loro figli: partite da Addis Abeba attraverso i corridoi umanitari. Sono state accolte dalla Caritas di Tortona
Le ragazze madri ospitate dalla Caritas di Tortona

Le ragazze madri ospitate dalla Caritas di Tortona

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Da Addis Abeba all’Oltrepò longobardo senza finire tra le grinfie dei trafficanti nell’abisso della Libia. Quattro vite salvate, arrivate legalmente con volo regolare. Il lungo viaggio di Sara e Nebiat, ragazze madri profughe dell’Eritrea con i loro figli di 5 e 2 anni, è finito a Codevilla, nel vogherese.

Sulla prima collina che si alza dalla pianura padana come un balcone si trova il piccolo borgo di Mondondone, 50 anime dove pare trovasse refrigerio dalla calura estiva il re dei longobardi Alboino. E da dove nelle giornate di sole si vedono gli edifici di Pavia e gli avveniristici palazzi milanesi di City life. A circa 50 giorni dallo sbarco in Italia insieme al gruppo dei 113 profughi portati a Roma da Caritas italiana e Sant’Egidio con il corridoio umanitario della Cei e del governo italiano, dopo aver raccontato la loro storia lo scorso 28 febbraio su Avvenire, abbiamo cercato e ritrovato le due donne che vivono in un appartamento nell’antica canonica restaurata della Chiesa della Madonna.

Qui, grazie all’accoglienza della Caritas diocesana di Tortona diretta da don Michele Chiapuzzi - parroco di Retorbido e Codevilla - hanno posto le basi per la nuova vita. «Ci sono arrivate le tessere sanitarie e i codici fiscali – spiega Sara, 35 anni, ex militare nel reparto comunicazione nell’esercito asmarino, l’unica a parlare inglese – la parte burocratica è quasi completata. La prossima settimana abbiamo appuntamento con la commissione per chiedere asilo ». I profughi sono persone vulnerabili che, per una norma del regolamento Schengen, possono ottenere da uno Stato membro dell’Ue il visto per un anno. Devono quindi presentare richiesta di asilo sul suolo italiano se intendono restare dopo.

Le due donne hanno vissuto un travagliato periodo nei campi profughi vicini al confine eritreo, durante il quale sono diventate madri e sono state abbandonate. Le ha aiutate l’Ong Gandhi di Alganesh Fessaha, partner nei corridoi. Ad Addis Abeba, poche ore prima della partenza per l’Italia, ci avevano confidato che l’Italia era la speranza dei figli. E il figlio di Sara ha iniziato subito a frequentare la scuola materna di Retorbido paese del leggendario Bertoldo - grazie alla sensibilità della dirigente scolastica Mar- gherita Panza. Il bambino ha una grande curiosità, si è inserito, è felice. La figlia di Nebiat sfreccia in questa casa ricca di storia millenaria. Sta imparando come la madre le prime parole in italiano. «Al nostro arrivo in Italia il 27 febbraio abbiamo visto per la prima volta la neve – prosegue Sara – e qui ci stiamo ritrovando. Ovviamente la vita è completamente diversa rispetto al campo e ad Addis Abeba. In Etiopia i rifugiati sono sfamati, possono studiare gratuitamente, ma non possono lavorare. Non c’era futuro per noi e i nostri bambini». Nebiat annuisce.

Entrambe dicono una cosa che conferma la forza non solo simbolica dei corridoi umanitari: «Eravano pronte a partire dall’Etiopia verso la Libia con gli smugglers, i trafficanti, il corridoio umanitario ha salvato la vita a noi e ai nostri figli». Ora vogliono imparare l’italiano e trovarsi un lavoro. Sara nel campo profughi era una brava parrucchiera ed estetista, Nebia in Eritrea ha imparato a fare la sarta.

Il vescovo Vittorio Viola ha voluto fortemente l’iniziativa in questo profondo nord, terra di mezzo tra Piemonte e Lombardia che lambisce Liguria ed Emilia Romagna. Dove la solidarietà ha radici profonde e organizzate. Il seminario vescovile ha aperto le porte a 17 migranti ospitando un Centro di accoglienza straordinaria e in futuro aprirà un centro Sprar per sei persone. La Caritas diocesana, attraverso la coop Agape che copre i costi del progetto, ha preparato l’accoglienza. Come prevede il programma della Caritas 'Rifugiato a casa mia', con le due donne e i bambini vive una coppia di coniugi, Loredana e Battista Boroni, rodati da 30 anni di lavoro come educatori professionali, e che vengono dalle comunità familiari generate dall’esperienza di Villapizzone di Enrica e Bruno Volpi. «La diffidenza c’è, ma in poche persone – conferma l’operatrice Alessia Cacioccola – . Le donne del borgo e di Codevilla ci portano cibo, abiti smessi ma decorosi per le ragazze madri e i bimbi ». Stasera al convegno della Caritas sulla negazione della biodiversità come causa di migrazione al teatro Retorbido racconteranno la loro storia con accanto il vescovo. La strada è quella dell’accoglienza diffusa sui territori. Come questo, dove il cuore e la conoscenza diretta delle persone vincono l’odio e le bufale della rete.

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