mercoledì 21 febbraio 2018
Continua il viaggio nella storia del quotidiano voluto da Paolo VI nel 1968. Qui riproponiamo l'editoriale di un grande giornalista, poi assassinato dal terrorismo di estrema sinistra.
Walter Tobagi in una foto dall'archivio Ansa

Walter Tobagi in una foto dall'archivio Ansa

COMMENTA E CONDIVIDI

Continua il viaggio lungo 50 anni della nostra storia. È la storia di «Avvenire», che taglierà il traguardo il prossimo 4 dicembre, e insieme del mondo che su queste pagine è stato raccontato a partire da un punto di vista originale e inconfondibile. È l’impegno che consegnò come una missione il beato Paolo VI quando volle la nascita di un quotidiano nazionale di tutti i cattolici italiani, punto di incontro vivo tra le loro molteplici voci e insieme luogo di dialogo con le diverse anime della società.
Riproponiamo qui l'editoriale pubblicato il 18 marzo 1971 su Avvenire, a firma di Walter Tobagi, Il giornalista, poi passato al Corriere della Sera, fu ucciso dalla Brigata XXVIII marzo, gruppo terroristico di estrema sinistra, il 28 maggio 1980.

Più neri del Movimento sociale, più fascisti dei fascisti: sono due slogan-definizioni che qualificano i gruppi più riottosi dell’estremismo di destra.

Quei gruppi che hanno cominciato contestando il «legalismo» del Movimento sociale edizione Michelini e, per fasi successive, sono arrivati a parlare apertamente di eversione dello Stato.

Non è facile tracciare una mappa precisa dell’estremismo neofascista: non è facile perché i gruppi e gruppetti si sono sciolti e ricomposti nel giro di pochi mesi, con incredibile velocità e vaghezza ideologica. Ma c’è di più: molto spesso questi gruppi altro non sono che sotto-organizzazioni delle case-madri del neofascismo italiano: il MSI e la sua organizzazione giovanile, la Giovane Italia.

Proprio dalla Giovane Italia, si dipartono i primi dissidenti, raccolti tra il ’65 e il ’68, attorno a Caradonna. Caradonna vuole rappresentarsi come «uomo forte», per cui organizza assalti e spedizioni punitive, soprattutto contro gli studenti dell’università di Roma. I manganellatori neri escono dall’ombra, e le loro uscite diventano sempre più frequenti a partire dal periodo ’67-’68. Oscillano tra due tattiche: introdursi nei gruppi «contestatori» (alcuni arrivano ad organizzare gruppetti che si autodefiniscono «naziomaoisti), o presentarsi come «la gioventù sana», in opposizione ai «giovani degeneri» della sinistra extraparlamentare. Gli slogan sono stati ripetuti sin troppe volte, a coprire l’equivoco di oscure manovre: i neofascisti dicono di battersi per l’ordine, per fare insorgere «gli elementi sani della nazione».

E così ricompaiono dall’ombra, in cui erano giustamente caduti, tristi personaggi dell’epoca fascista: il «parlamentarismo» viene superato a piè pari. E si comincia, anzi, a parlare di un vero e proprio tentativo insurrezionale, da preparare organicamente, in opposizione alle «aperture a sinistra», ai presunti pericoli rappresentati dai sindacati e dalle masse lavoratrici. Su questa linea si distinguono alcuni «movimenti, e soprattutto il «Fronte nazionale» di Junio Valerio Borghese. Ma l’organizzazione del «Fronte nazionale» dispone di fondi cospicui, raccolti soprattutto in certi ambienti industriali che si dicono preoccupati dal «prepotere sindacale» ma che in realtà rimpiangono l’epoca delle corporazioni. Con questi fondi, Valerio Borghese ha gioco facile nell’aprire sedi in tutta Italia (è lui stesso ad affermarlo) e nell’attrarre giovani dissidenti del neofascismo italiano. Al punto che, nello scorso autunno, ha affermato di poter contare su cinquemila quadri, strategicamente dislocati in tutto il Paese e pronti ad intraprendere, al momento opportuno, un’«operazione di pulizia e ordine» secondo lo stile dei colpi di Stato di destra.

Non a caso, però, il «Fronte nazionale» è presente sulle barricate di Reggio Calabria. Lo stesso Junio Valerio Borghese andò a parlare nella città sconvolta. E poi all’Aquila, aderenti del «Fronte nazionale» sembra abbiamo partecipato all’assalto delle sedi dei partiti, alla fine del mese di febbraio.

Accanto al «Fronte nazionale», un posto importante negli ultimi due anni è stato occupato dal movimento «Ordine nuovo», il cui fondatore - citiamo da «la strage di Stato» - a Roma è un giornalista di un quotidiano romano «noto per aver coniato la definizione "la democrazia è un’infezione dello spirito". Nato ufficialmente su posizioni di dissenso dalla linea parlamentaristica del Movimento Sociale, «Ordine nuovo» - come del resto tutti i gruppi e gruppetti frazionistici del MSI - ha in realtà il doppio compito di ancorare ideologicamente i fascisti «puri» e più scatenati al controllo indiretto del partito, e nello stesso tempo assicurare al MSI la copertura
necessaria per le sue attività a livello propagandistico-squadrista».

Negli ultimi mesi si è parlato di un riavvicinatamente tra «Ordine nuovo» e MSI, dopo che Almirante ha dato una pesante sterzata alla linea del Movimento Sociale, con quella grave rinascita del «neosquadrimo fascista» che abbiamo conosciuto negli ultimi mesi. I dirigenti di «Ordine nuovo», comunque, vantano rapporti particolarmente buoni con il regime dei colonnelli greci. Questi sono i due gruppi maggiori. Ma la prolificazione, negli ultimi anni, è stata enorme. Le distinzioni nascono raramente - potremmo dire anche mai - da diversità ideologiche, ma da rivalità personali. Nel ’67, Giacomo De Sario ha fondato la «Costituente nazionale rivoluzionaria» (CNR), pubblicando un giornale quindicinale «Forza nuova».

Nell’ultimo periodo anche De Sario si è riavvicinato all’MSI. Ma resta attuale il suo programma d’azione, in cui parla apertamente di preparazione di «quadri per la presa del potere». A Loris Facchinetti tocca la leadership de movimento «Europa civiltà», collegato con analoghe organizzazioni fasciste all’estero. Su una posizione simile si possono porre altri due gruppuscoli:« Giovane Europa», tra i cui fondatori è Stefano delle Chiaie e «Università europea», con un certo seguito al sud. L’elemento unificante di questi movimenti è la preparazione paramilitare. Ancora nella scorsa estate, si sono organizzati campi di addestramento sull’Appenino (in Emilia, pare) e sulle alture del Trentino. In quest’ultima zona si è distinto un altro gruppo: il MAR, Movimento di azione rivoluzionaria, che ha organizzato e «firmato» diversi attentati. Qualche mese fa, il MAR fu al centro dell’attenzione quando venne scoperto un deposito di armi, un vero e proprio arsenale, in Valtellina. Altri gruppuscoli operano in zone limitate. A Milano c’è l’ex deputato del Movimento sociale Domenico Leccisi, che ha organizzato un «Comitato di difesa pubblica. Sinistra nazionale», Leccisi si presentò alle ultime elezioni amministrative ma non ebbe fortuna. Giuseppe Screpanti, invece, è fondatore (1968) del Partito Nazionale Democratico, che vuole richiamarsi alla NPD tedesca, il partito neonazista, cioè, guidato da Von Thadden.

Un discorso a parte invece meritano altri gruppetti, sviluppatesi nei mesi scorsi , come risposta reazionaria alle tensioni sociali del Paese. Si possono citare le squadre di azione Mussolini (SAM), autentici manipoli di picchiatori, che hanno reso tristemente famose alcune zone di Milano. Poi i «Gruppi di azione nazionale», sorti per iniziativa di Mario Tedeschi, direttore del «Borghese», con lo scopo di contrastare «gli scioperi organizzati dai comunisti e dai clerico-comunisti». Poi, ancora, «L’assalto», che ha cominciato l’attività pubblicando un quindicinale omonimo: per chiarire subito l’orientamento, le sue «S» della testata sono disegnate come le «SS» hitleriane. Il motto è «Passare all’azione, costi quel che costi».

A questi gruppi andrebbero aggiunte tutte le formazioni locali di neofascisti, dissidenti, insoddisfatti anche del criptosquadrismo di Almirante. Questa complessa geografia, però, non può essere ricostruita in modo attendibile, anche perché le variazioni - i passaggi di gruppo a gruppo, gli scontri e i riabbracci - sono rapide e frequentatissime. E sono variazioni che potrebbero aver mutato nelle ultime ore, anche la struttura dei gruppuscoli più importanti e significativi, dei quali abbiamo parlato. Ma in conclusione, è d’obbligo una constatazione: per tutti questi extraparlamentari, per questi tristi epigoni del fascismo, c’è un riferimento comune: il «parlamentare» Movimento sociale. E, soprattutto, il suo «braccio giovanile», rappresentato dalla Giovane Italia.

Avvenire, 18 marzo 1971

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI