martedì 18 dicembre 2018
Oggi Consiglio nazionale della Federazione della stampa a piazza Montecitorio contro l’emendamento Patuanelli: «Produrrà chiusure di giornali e perdita di posti di lavoro»
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Gli unici effetti del taglio dei fondi all’editoria saranno «la chiusura di numerosi giornali e la perdita di posti di lavoro. L’auspicio è che i parlamentari di maggioranza e opposizione, facendo appello alla loro autonomia, sappiano impedire questo scempio». È l’appello della Federazione nazionale della stampa, che chiede al Parlamento una retromarcia 'trasversale' sull’emendamento presentato da Stefano Patuanelli, capogruppo di M5s al Senato, alla legge di Bilancio.

Stamani alle 10, il Consiglio nazionale della Fnsi ha aperto i propri lavori in piazza Montecitorio. Un presidio simbolico a poca distanza dall’ufficio del sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega all’Editoria, Vito Crimi, per esprimere il dissenso della categoria per il taglio dei fondi. In piazza, con la Fnsi, intervengono l’esecutivo dell’Ordine dei giornalisti e i colleghi di numerose testate colpite dalla misura, che l’esecutivo intende inserire nel maxiemendamento alla manovra.

«La decisione del governo 5 stelle-Lega è un atto ritorsivo contro la categoria, di cui mal si sopportano l’autonomia e lo spirito critico – scrivono gli organizzatori –, oltre che un colpo contro il pluralismo dell’informazione e le testate minori, espressioni di minoranze culturali, linguistiche, politiche e di comunità italiane all’estero». Uno scenario allarmante, secondo le forze d’opposizione in Parlamento. Si rischia, ribadisce il capogruppo di Fratelli d’Italia alla Camera Francesco Lollobrigida, «la completa scomparsa di preziose testate e la cancellazione di migliaia di posti di lavoro».

Se entrasse in vigore l’attuale versione dell’emendamento Patuanelli, già dal 2019 in via progressiva verrebbero ridotti i contributi diretti, per arrivare all’azzeramento assoluto nel 2022 per le imprese editrici di quotidiani e periodici che hanno accesso in base al decreto legislativo 15 maggio 2017, n.70.

Secondo il sottosegretario Crimi, i contributi in forma diretta sono appannaggio di «150 aziende a fronte di circa 18mila testate». A suo dire, i soldi risparmiati «rimangono nel fondo per il pluralismo che vuole garantire un sostegno a tutti, non solo ad alcuni editori». Con quali criteri verrebbero erogati tali fondi non appare chiaro: da norme precise, ridefinite di recente dalla legge 198 del 2016, si potrebbe passare a un più ampio margine di discrezionalità da parte della Presidenza del Consiglio. Il Movimento difende a spada tratta l’emendamento. Ieri lo ha fatto, con un messaggio sul Blog delle stelle, il senatore Gianluigi Paragone.

Nel testo, intitolato «Il taglio dei fondi all’editoria lo chiedono i cittadini», Paragone – di professione giornalista e già direttore della Padania, vicedirettore di Libero e vicedirettore di Rai2 – sostiene che si tratta di «un riordino del comparto» al quale si oppongono «i giornalisti, una delle Caste che esistono in Italia».

Il vicepremier Luigi Di Maio lo supporta, chiedendo ai propri sostenitori di condividere «il più possibile» il messaggio sui social network. Nell’emendamento vengono menzionati futuri progetti per l’informazione digitale. Secondo Forza Italia, c’è il rischio che si tratti di una formula per consegnare ai social network il monopolio dell’informazione: «La Francia introduce la web tax, mentre in Italia si fa di tutto per bastonare la libera stampa con i tagli all’editoria – lamenta la deputata di Fi Deborah Bergamini –. Del resto un mondo in cui scomparisse l’informazione certificata e trasparente sarebbe un mondo in cui far credere che il 2,40% è uguale al 2,04%, che le scie chimiche esistono, che i vaccini fanno male...».

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