sabato 29 luglio 2017
L'inchiesta "Gambling" ha portato anche al sequestro di beni per più di due miliardi di euro, tra cui 1.500 sale
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Colpo pesantissimo sulle "azzardomafie". Pioggia di condanne per più di due secoli di carcere nel processo "Gambling", la più grossa operazione contro gli affari delle mafie sulle scommesse che due anni fa ha scoperto l’intreccio tra clan della ’ndrangheta reggina e imprenditori dell’azzardo. Il Gup di Reggio Calabria, Nicola Marino, ha condannato ben 29 delle 35 persone alla sbarra col rito abbreviato.

Sostanzialmente accolta la ricostruzione della vicenda e le richieste della Dda di Reggio Calabria, rappresentata in dibattimento dal pm Stefano Musolino. Condanne tra 12 e 4 anni per un giro illegale di scommesse online con base a Malta e centinaia di centri raccolta in Calabria e in altre regioni, sotto il controllo della ’ndrangheta. Un sistema capace di incamerare in media più di 200mila euro a settimana per ciascun centro scommesse. I reati contestati dall’accusa, e riconosciuti dal Gup, erano infatti associazione mafiosa, associazione a delinquere finalizzata all’esercizio abusivo di giochi e scommesse, truffa, evasione fiscale e riciclaggio. «Sono molto soddisfatto – è il commento del procuratore di Reggio Calabria, Federico Cafiero de Raho –. È andata molto molto bene. Ed è la dimostrazione che si è lavorato bene. C’è piena corrispondenza con quanto avevamo chiesto. Era molto importante, anche per il numero di imputati».

L’operazione era scattata il 22 luglio 2015: 41 arresti, beni sequestrati per più di due miliardi di euro, tra questi 11 società estere e 45 italiane, 1.500 sale gioco e scommesse in varie regioni, oscurati 45 siti italiani e stranieri. E nell’inchiesta anche la scoperta di «un patto scellerato tra camorra e ’ndrangheta» per gestire il grande affare dell’azzardo e in particolare quello delle scommesse online. Elementi che poi sono confluiti in inchieste di altre procure. Dopo due anni l’operazione ha dato i suoi primi frutti processuali. Primi perché per altri 59 indagati è in corso il processo col rito ordinario con le stesse accuse dei condannati col rito abbreviato.

Le condanne più pesanti hanno colpito gli esponenti della cosca dei "Ficareddi", gruppo che domina la zona di Saracinello nella periferia sud di Reggio Calabria. Dodici anni sono stati inflitti al boss della zona, già più volte condannato, Giovanni Ficara, e a Terenzio Minniti, Venerando Puntorieri e Cesare Ventura. Dieci anni, invece, per Vincenzo Nettuno, fratello di Latterio Nettuno, ucciso a 16 anni con un palo conficcato nel cuore da uomini della cosca Latella ai tempi della sanguinosissima guerra di ’ndrangheta.

Quattro anni sono toccati a Mario Gennaro "Mariolino", il personaggio chiave dell’organizzazione, l’inventore del sistema, legato alla cosca Tegano, uno delle più importanti di Reggio Calabria e di tutta la ’ndrangheta. Dopo l’arresto Gennaro ha scelto di collaborare con la magistratura e per questo ha evitato un condanna che sicuramente avrebbe superato i 12 anni. Insomma ’ndrangheta di Serie A e imprenditori dell’azzardo sotto braccio. Un patto ferreo tra clan che è durato anni, fino al blitz di Carabinieri, Polizia e Finanza di due anni fa. E che ora incassa le dure condanne.

Un’organizzazione che oltre a investire il denaro raccolto dai giocatori in altre attività illegali, ha provocato un grave danno al sistema legale di "gioco". Il Gup lo ha sancito disponendo il risarcimento dei danni a favore del Ministero dell’Interno e dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, che si erano costituiti parte civile.

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