mercoledì 26 giugno 2019
Boom di cocaina e cannabis, ma i tagli alla sanità garantiscono cure solo a uno su tre. Sert abbandonati, comunità sole, territori in ginocchio
(Ansa)

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A guardarla dal punto di vista della sanità – più che mai a rischio, in Italia, vista l’emorragia di medici che sta svuotando le corsie dei nostri ospedali e la parallela impossibilità di trovare risposte di cura – la tossicodipendenza assomiglia a un deserto. Servizi inesistenti, o asfaltati da anni di assenza di investimenti, progetti arenati, pratiche farraginose. Col personale in fuga (chi vorrebbe lavorare in simile condizioni?) e i Livelli essenziali di assistenza – che pure prevederebbero «diagnosi, cura e riabilitazione» – sempre meno garantiti.

Il risultato, misurato per la prima volta in numeri in occasione della Giornata mondiale contro la droga che si celebra oggi, è che a fronte di 460mila persone che hanno bisogno di trattamenti terapeutici per una dipendenza – da sostanze, da alcol, da azzardo, o da tutto insieme, come sempre più spesso avviene – appena 140mila vengono intercettati dai servizi specialistici (di cui 120mila usano eroina come sostanza primaria). Significa una persona su tre. E l’abisso diventa drammaticamente fondo se si guarda soltanto al mondo dei più giovani, cioè a chi è più a rischio: 25mila quelli in carico agli uffici del Servizio sociale per i minorenni, appena 2mila quelli inviati in strutture specializzate. Un pezzo di Paese dimenticato, e perduto, tra cui figurano i ragazzi davanti a cui la politica e l’opinione pubblica ciclicamente inorridiscono: le Desireé abbandonate nelle case occupate al cuore della movida, i fantasmi dei boschetti della droga, le vittime dei rave party istituzionalizzati nei chiostri degli atenei. Ma chi si occupa più, di droga, in Italia? Le comunità certo, da cui in queste ore si è sollevato un nuovo grido d’allarme. La promessa del governo con cui si era concluso l’incontro dello scorso 8 maggio – quando davanti agli operatori arrivarono pieni di buoni propositi il ministro della Famiglia con delega alle Politiche antidroga Lorenzo Fontana e il ministro dell’Interno Matteo Salvini – è rimasta per ora lettera morta: nessun tavolo tecnico convocato in vista di un’ipotetica Conferenza nazionale sul tema, appuntamento ormai disertato – sembra incredibile, considerando che la legge lo prevede ogni tre anni – dal 2009. Mentre in Italia l’emergenza della droga non s’è affatto arrestata, tutt’altro: 4 milioni quelli che hanno fatto uso di sostanze nel 2017, di cui 500mila vittime di una dipendenza strutturata. Con la cocaina che la fa da padrona (88,5%), seguita a ruota dai cannabinoidi (84%), l’età media di primo contatto con le sostanze stupefacenti che s’è abbassata a 14 anni, il ritorno dell’eroina (dati dell’Osservatorio sulle tossicodipendenze di San Patrignano). E, ciò che è ancora peggio, «con un calo del 26% degli interventi territoriali tesi all’educazione e alla prevenzione di comportamenti devianti, soprattutto a causa di un progressivo disinvestimento in progetti nelle scuole – spiega Luciano Squillaci, presidente della Federazione italiana Comunità terapeutiche –. Un dato che corre parallelo al progressivo, devastante abbassamento della percezione dell’uso di sostanze come comportamento a rischio».

VIDEOINTERVISTA Squillaci: «Droga, emergenza senza precedenti» di Pino Ciociola

Nel calderone indistinto delle politiche sociali d’altronde, in cui ormai da anni è stato riassorbito il Fondo nazionale per la lotta alla droga, le emergenze crescono ogni giorno che passa: difficile individuare e stanziare risorse ad hoc per le dipendenze, figurarsi per la prevenzione o per il reinserimento lavorativo, il tassello finale dei percorsi di recupero che è l’altra faccia del problema e senza cui gli sforzi del sistema risultano vani. «Mentre l’interesse di alcuni partiti rimane concentrato solo sulla cannabis, i dati ci dicono che dobbiamo fare i conti con altro – riflette Riccardo De Facci, presidente del coordinamento nazionale Comunità di accoglienza (Cnca) – . Sia i Sert pubblici sia le strutture del terzo settore si trovano ad affrontare nuove tipologie di consumatori, nuove sostanze, nuovi modi di consumarle e acquistarle come il dark web. È allora urgente che istituzioni e forze politiche facciano i conti con la realtà del fenomeno droghe invece di ignorarlo o, peggio, utilizzarlo per conquistare consenso riproponendo la vecchia ricetta, totalmente fallimentare, della sola repressione». Tornare alla cura della persona insomma, nella sua globalità e possibilmente prima che la droga diventi un problema, superando il modello cristallizzato da una (buona) legge che però ormai risale al 1990 «e un sistema unico di intervento formato da Comunità terapeutica, Sert ed altri servizi connessi intendendo in maniera esplicita una sola tipologia di servizi e approcci presente su tutto il territorio nazionale» conclude De Facci.

Nel giorno della «riflessione e della pianificazione di azioni sinergiche», come ha auspicato ieri proprio il ministro Fontana parlando della Giornata mondiale (all’Italia peraltro tocca per la prima volta nella storia la presidenza della Rete Mediterranea MedNET di cooperazione sulle droghe, 16 i Paesi coinvolti), le comunità chiedono allora protocolli e interventi di prevenzione, équipe e servizi di riduzione del danno e dei rischi in tutte le Asl italiane (in alcune Regioni, come la Calabria, servizi specialistici per le dipendenze mancano del tutto), un sistema di cura in cui possano essere presenti tutte le prestazioni previste dalle linee guida dei Lea. E prima di tutto quella Conferenza nazionale sulle droghe senza cui nessun progetto di svolta sembra davvero possibile.

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