giovedì 9 luglio 2020
Hyso Telharay, 22 anni albanese, morì l'8 settembre 1999 a Foggia per le percosse ricevute. La punizione per aver combattuto lo sfruttamento. L'assassino riportato oggi in Italia da Tirana dalla Polizia
Dopo 20 anni estradato l'assassino del bracciante che disse no al caporalato
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Finalmente un po' di giustizia concreta per Hyso Telharay, giovane bracciante albanese, morto l'8 settembre 1999, dopo tre giorni di agonia, per le gravi lesioni provocate da alcuni caporali. Era la punizione per essersi rifiutato di cedere ai loro ricatti e di consegnare parte dei suoi guadagni. Aveva appena 22 anni.

Dopo venti anni, questa mattina è stato estradato in Italia Luan Vrapi, albanese 47enne accusato di essere l’autore, in concorso con altri, dell’omicidio. Vrapi - destinatario di un’ordinanza cautelare emessa a novembre del 1991 per omicidio volontario e lesioni personali aggravate - è sbarcato questa mattina all’aeroporto di Fiumicino scortato dal personale del Servizio per la cooperazione internazione di Polizia (Scip) che lo ha rintracciato a Tirana grazie alla collaborazione costante con la polizia albanese. Consegnato alla polizia penitenziaria di Bari, è stato trasferito in carcere e messo a disposizione dell’autorità giudiziaria.

"È una gran bella notizia - commenta il procuratore di Foggia, Ludovico Vaccaro -. Anche se dopo tanti anni si arriva a questo importante risultato. È la concretezza della giustizia. Oltretutto per un evento simbolico. Noi il nostro dovere lo avevamo fatto condannando i responsabili, ma non avevamo dimenticato. E questo conferma il momento particolarmente positivo sul nostro territorio nel contrasto all'odioso fenomeno dello sfruttamento, col massimo impegno della magistratura e delle forze dell'ordine, come dimostrano le tante operazioni contro imprenditori e caporali".

Un dramma non di oggi, come racconta la vicenda di Hyso, vittima per tanto tempo senza una storia. La ritroviamo nel libro "Dalle mafie ai cittadini". Da pochi mesi i ragazzo aveva iniziato a lavorare alla raccolta dei pomodori tra Cerignola e Borgo Incoronata. Ma già a 16 anni era emigrato in Grecia per aiutare la famiglia, lui il più piccolo di sei figli, ma già molto maturo e responsabile. Poi il dramma, per la sua scelta di giustizia. Il suo nome diventa un simbolo e come tale viene inserito nel lunghissimo elenco che ogni 21 marzo viene letto in occasione della Giornata della memoria e dell’impegno, in ricordo delle vittime innocenti delle mafie, promossa da Libera. Viene anche scelto nel 2004 per dare il nome al primo vino prodotto sui terreni confiscati alla mafia nel brindisino dalla Cooperativa Terre di Puglia – Libera Terra e dal presidio di Libera di Cerignola, a cui lo stesso è intitolato. Ma è solo un nome.

Di lui si sa pochissimo e non c’è neanche una foto. Fino a quando Ajada, una ragazza di origine albanese, in Italia dall’età di 11 anni, partecipa nel 2012 a un campo di Libera a Mesagne, nella villa confiscata al boss della Sacra Corona Unita, Donato Screti, e assegnata alla Cooperativa Terre di Puglia. Vede uno striscione con la scritta "La terra di Hiso" (anche il nome non era corretto...), vede le bottiglie a lui dedicate: "Mi colpiva che di tutte le vittime veniva raccontata la storia, di lui niente, non era possibile che non ci fosse nessuna informazione. Così ho preso una bottiglia e mi sono messa a cercare". Finalmente nel giugno 2016, grazie a internet, ritrova Polikseni, la sorella di Hyso, va a conoscere la famiglia in Albania e li convince a intraprendere il viaggio in Italia. Portano con loro dei regali preziosi, le fotografie del ragazzo e il suo passaporto. Finalmente Hyso oltre che un nome è anche un volto. Ed è un volto sorridente. Un incontro commovente. Prima nella parrocchia di San Domenico, poi con il vescovo di Cerignola, monsignor Luigi Renna ("Molto spesso le condizioni nelle nostre terre sono come allora, i diritti sono stati acquisiti ma poi di nuovo persi") e infine sul bene confiscato della cooperativa Pietra di scarto. Qui, su un muro bianco, sono scritti i nomi delle vittime innocenti pugliesi. I fratelli ora scrivono quello di Hyso. "Oggi si è aperta una finestra dalla quale finalmente abbiamo visto Hyso", commenta commossa Daniela, figlia di Francesco Marcone vittima innocente delle mafie e vicepresidente nazionale di Libera. "Una storia che ci dà il coraggio di impegnarci di più".

Negli stessi giorni in cui i familiari di Hyso arrivano in Italia per la prima volta, viene approvata la legge 199 del 29 ottobre 2016, la legge anticaporalato, norma importantissima per contrastare e prevenire sfruttamento e caporalato, che in questi anni di applicazione sta dando ottimi risultati, con arresti e sequestri di aziende.

Non era così venti anni fa quando Hyso disse no alle ingiustizie. Venne avvisato che le persone a cui si era opposto stavano venendo a cercarlo nel casolare in cui viveva nelle campagne vicino a Borgo Incoronata. Gli suggeriscono di fuggire, ma lui non lo fa. A bordo di un auto guidata da Addolorato Pompeo Todisco, un imprenditore agricolo di Orta Nova, arrivano tre albanesi, Vrapi Edmond, Celhaka Kuitim e Vrapi Luan. Tutti e cinque vengono indagati. In primo grado la corte d'assise di Foggia, il 24 novembre 2009, condanna i tre albanesi a 21 anni a testa, e Todisco a 14 anni per concorso anomalo in omicidio. In appello a Bari, 1'8 febbraio 2011, viene confermata la condanna dei tre albanesi a 21 e 18 anni, l'imprenditore viene assolto dall'accusa di concorso in omicidio, derubricata in quella di favoreggiamento, reato prescritto.

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