mercoledì 24 ottobre 2018
Il ragazzo, oggi 18enne, ha subito le violenze in Libia quando aveva appena 16 anni, per convincere la madre a pagare il riscatto. Ora vive nella comunità alloggio "Il Canguro"
Dopo le torture e l'orrore, oggi Daniel sorride
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«Mi facevano telefonare a mamma. Poi mi picchiavano, anche con un mattone, così lei sentiva che urlavo e piangevo. Ed era costretta a mandare i soldi per farli smettere». Così Daniel, 18 anni appena compiuti, nigeriano, racconta le torture subite quando aveva 16 anni in una prigione libica. E ci fa vedere i segni delle violenze che ancora porta sul corpo. Lo incontriamo assieme a Lucia Tommasi, responsabile della comunità alloggio 'Il Canguro' di Carinola, nel Casertano, dove è ospitato assieme ad altri minori non accompagnati e anche italiani, affidati dai ser- vizi sociali. È arrivato in Italia il 29 giugno 2017, sbarcando a Salerno da una nave militare spagnola. Erano più di 1.200. «Non auguro a nessuno di vedere quello che ho visto quel giorno nel porto», ricorda Lucia. Ma è tutto il racconto di Daniel, quel suo viaggio di tre mesi, le violenze e i morti, ad essere drammatico. Oggi sorride, accanto ai suoi nuovi amici, ma le sue parole sono davvero dure.

Racconta che il padre è morto 5 anni fa. «Mio zio ci ha cacciati di casa. Ho tre fratelli più piccoli e ho dovuto lavorare. Guidavo i camion ». Vede la nostra perplessità e ci spiega. «Nel mio Paese si può fare quello che vuoi». Così un bambino può fare l’autista di camion. Ma poi il mezzo si rompe. Niente più lavoro. Così all’inizio di aprile 2017 la decisione di partire. «Mamma ha pagato 500 euro e mi hanno caricato su un furgone. Eravamo in 50». Dieci giorni per arrivare in Libia, dieci giorni durissimi. «Ho visto tante persone morire», racconta ancora Daniel. Ma il peggio deve ancora venire. Finisce in una prigione libica per undici giorni. E qui subisce le torture per convincere la mamma a pagare per la sua libertà. Poi viene trasferito a Sabrata in quella che dovrebbe essere una comunità. «Ma era come una prigione – ci dice –. Dormivamo per terra e anche li ci picchiavano. Per i soldi o se non obbedivo rapidamente ai loro ordini». Un pasto al giorno, in un unico piatto per dieci persone. Daniel resiste. «Ma quattro miei amici sono morti di fame e sete», ricorda ancora. Un ricordo che ha pesato nei primi giorni al 'Canguro'. «Pensava che non si mangiasse tutti i giorni – ci dice Lucia –, come aveva vissuto in Libia. E così prendeva anche il cibo degli altri. Si mangiava 6-7 piatti di pasta. Gli abbiamo dovuto dire 'guarda che qui si mangia tutti i giorni, sta tranquillo'». In un anno è cresciuto di 15 chili eppure è ancora magro. Ma ci scherza con una battuta in napoletano. «Omm’ e panz, omm’ e sustanz’».

Oggi davvero può sorridere Daniel che dopo la prigione e le torture ha anche rischiato di affogare. «Ci hanno caricati in 150 su un gommone. Non avevo mai visto il mare. Piangevo. Non volevo salire. Ma i più grandi mi dicevano 'Dio è con noi'. E allora sono salito». Ma il 'viaggio' è durato pochissimo. «Ci ha fermati una nave della polizia (la Guardia costiera libica, ndr), ha fatto rovesciare il gommone e ci ha riportati in carcere». Ma Daniel ci riprova, ovviamente pagando i trafficanti anche una seconda volta. Sul gommone sono più di cento. È già ridotto male alla partenza. E comincia ad affondare. Li salva la nave spagnola. Non tutti. «Venticinque sono affogati. Ma io ce l’ho fatta », ricorda Daniel che in così pochi anni ha visto già tante volte la morte in faccia. E che ora è tornato a vivere davvero.

In un anno ha preso la licenza media e ora ha cominciato la scuola alberghiera. La scorsa estate ha fatto uno stage formativo in un ristorante e i primi soldi li ha mandati alla mamma. «Mi ha telefonato per ringraziarmi e per ringraziare gli amici italiani. Era felice». Ben altra telefonata di quelle sotto tortura! Daniel davvero si sente a casa e la rispetta. E non solo lui. Tutti i ragazzi ospiti del 'Canguro' hanno partecipato alla festa patronale di Carinola. Al momento dell’Inno d’Italia sono scattati in piedi e l’hanno ascoltato con la mano sul cuore. «Lo sai che quando compirai 21 anni dovrai andare via dalla comunità ?». Lo provoca Lucia. «No, io resto qui», risponde convinto. «Stai tranquillo – sorride Lucia – resterai da noi». Intanto quindici giorni fa è diventato maggiorenne e ha festeggiato coi suoi nuovi amici la sua nuova vita. Provando a dimenticare torture, violenze, morte.

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