martedì 3 agosto 2021
Dopo Sicilia e Sardegna ora a bruciare sono le regioni sul fronte Adriatico: 717 interventi in 24 ore
Nelle ultime 24 ore i vigili del fuoco hanno effettuato 717 interventi, 49 dei quali con i Canadair e gli elicotteri. «Sarà l’autorità giudiziaria ad individuare le cause – dice Parisi – Quel che è certo è che sia in Sardegna sia in Sicilia sono stati trovati degli oggetti incendiari». Nella foto l’incendio a Pescara Sud: le fiamme hanno raggiunto le case

Nelle ultime 24 ore i vigili del fuoco hanno effettuato 717 interventi, 49 dei quali con i Canadair e gli elicotteri. «Sarà l’autorità giudiziaria ad individuare le cause – dice Parisi – Quel che è certo è che sia in Sardegna sia in Sicilia sono stati trovati degli oggetti incendiari». Nella foto l’incendio a Pescara Sud: le fiamme hanno raggiunto le case - Ansa

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«Basta incuria, serve prevenzione» avverte il nuovo capo del Corpo nazionale dei Vigili del Fuoco Guido Parisi che è già alle prese con l’emergenza incendi: dopo la Sardegna e la Sicilia, ora a bruciare sono soprattutto le regioni sul fronte Adriatico, Marche, Abruzzo, Puglia. Gli incendi per autocombustione «sono casi molto rari»: i roghi che ogni anno distruggono migliaia di ettari di aree boschive in tutta Italia sono dovuti «all’incuria, alla scarsa manutenzione» e, molto spesso, a comportamenti dolosi come dimostrano alcuni inneschi trovati nelle aree distrutte dal fuoco negli ultimi giorni sia in Sardegna sia in Sicilia. Per cambiare rotta, dunque, serve un investimento «in prevenzione ma anche in educazione civica, per insegnare ai ragazzi delle scuole il rispetto per i boschi».

Anche sugli incendi e sugli incendiari Rosario Livatino aveva capito prima di tutti. Ed era intervenuto. Più di 35 anni fa. E proprio dove ora le fiamme sono tornate a colpire, distruggere, incenerire. Come allora. Là dove Livatino aveva indagato colpendo gli incendiari. E come allora il sospetto di interessi economici illegali. Ma anche ritardi delle istituzioni. Quelli scoperti e indagati dal 'piccolo giudice' ucciso dalla mafia il 21 settembre 1990 e proclamato beato lo scorso 9 maggio. Pochi giorni fa è andato in fumo in contrada Galluzzo di Licata un bosco di pino d’Aleppo e pino domestico di più di 50 ettari. Un disastro che si ripete. Si tratta, infatti, di un rimboschimento sul quale aveva indagato a metà degli anni ’80 proprio Livatino per un incendio doloso. Ce lo ricorda Domenico 'Mimmo' Bruno, ex commissario del Corpo forestale regionale siciliano, per anni collaboratore del magistrato in tante indagini in materia ambientale. E fu proprio quell’incendio a farli conoscere. «Avevo mandato in Tribunale una notizia di reato relativa a un incendio doloso di un rimboschimento a Licata, zona a forte densità mafiosa. Invece di mettere le piante avevano messo dei 'cippi', dei semplici ramoscelli. Bisognava verificare il lavoro, ma prima del controllo tutto era stato bruciato, per far sparire le prove». Questa vicenda interessò subito Livatino, curioso e attento.

«Mi chiamò per fare delle ulteriori indagini, perché sospettava una complicità tra la ditta che aveva eseguito il rimboschimento e funzionari regionali. Così indagò il direttore dei lavori e un dipendente regionale». Ora Mimmo guarda sconsolato la pineta ridotta in cenere, non l’unica, perché nell’Agrigentino sono più di mille gli ettari andati in fumo. E ricordando il passato prova ad analizzare il presente. «Il dottor Livatino era molto interessato agli incendi boschivi. Erano tanti, troppi. E non scoppiavano a caso. Lui scavava in quelle vicende. Non guardando solo a chi appiccava le fiamme, ma anche a chi c’era dietro ». Il giovane magistrato aveva capito importanza e retroscena di quei fatti e ci si era impegnato. Voleva conoscere tutto. «Così gli portai alcuni volumi con le leggi regionali sugli incendi. Studiava molto, non si fidava e voleva verificare di persona». Anche perché il mondo della gestione forestale e del servizio antincendio era inquinatissimo.

E Livatino ci lavorò a lungo. «C’era un piano regionale anti-incendi che nessuno attuava – è il ricordo del forestale – proprio come oggi. Le opere di prevenzione avrebbero dovuto essere avviate nel mese di maggio e ultimate entro il 15 giugno e invece sono cominciate solo il 28 giugno, nonostante i ripetuti appelli ad anticipare la stagione e nonostante i primi incendi fossero già stati avvistati nel mese di marzo. In particolare nella maggior parte dei territori i viali parafuoco non sono stati a tutt’oggi realizzati a causa del ritardo nell’approvazione in bilancio dei fondi per la retribuzione degli addetti. Ciò rende più pericolose le operazioni di spegnimento da terra e favorisce il propagarsi degli incendi».

Proprio i fatti su cui indagava Livatino. «Non c’era prevenzione e la qualifica del personale era clientelare. I ranghi dei forestali erano pieni di mafiosi e alcuni di loro furono ammazzati. C’era manovalanza spicciola; dietro però si nascondevano interessi speculativi e politico/economici, a partire dall’abusivismo edilizio. Il dottor Livatino l’aveva capito benissimo». E, infatti, il magistrato fu molto attivo nel combattere l’abusivismo edilizio, scoprendo gli interessi mafiosi. Uno stretto intreccio con gli incendi, oggi come allora.


IL DOCUMENTO DI NOVE SECOLI FA
«Un flagello che supera ogni altra rapina, chi lo provoca sia dunque scomunicato»

L’incendio è un «flagello devastatore e pernicioso» che «supera ogni altra forma di rapina». Dunque chi lo provoca «sia scomunicato ». Storia di nove secoli fa. Lo stabiliva, infatti, il 'Canone 18' del Concilio lateranense convocato nel 1139 da papa Innocenzo II. «Riproviamo con tutte le nostre forze – si legge nell’attualissimo documento – e proibiamo con l’autorità di Dio e dei beati apostoli Pietro e Paolo, la pessima malvagità devastatrice e abominevole di appiccare incendi». Un’analisi modernissima. «Quanto sia dannosa, poi, al popolo di Dio, e quanto pregiudizio porti alle anime e ai corpi, nessuno lo ignora. Bisogna quindi opporsi e fare di tutto per sradicare e estirpare per la salvezza del popolo una tale calamità». Poi la netta condanna. «Perciò chiunque, dopo la promulgazione del nostro divieto, con intenzione malvagia per odio o per vendetta, avrà causato un incendio, o avrà incaricato altri di provocarlo, o avrà prestato consapevolmente consiglio o aiuto agli incendiari sia scomunicato. Se poi l’incendiario troverà la morte, sia privato della cristiana sepoltura. Né venga assolto, se prima non avrà risarcito, secondo le sue possibilità, il danno arrecato e non avrà giurato di non causare più alcun incendio». Condanna non definitiva. Anche per l’incendiario era previsto il perdono ma a precise condizioni. «Per penitenza gli si imporrà di stare a Gerusalemme o in Spagna a servizio di Dio per un anno intero». Non manca un avvertimento a chi dovrebbe controllare. «Se poi un arcivescovo o un vescovo avesse mitigato il rigore di questo canone, dovrà riparare il danno, e per un anno dovrà astenersi dall’esercitare il ministero episcopale».

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