giovedì 15 giugno 2017
Il gip di Milano Anna Magelli ha archiviato l'indagine in cui Totò Riina, intercettato il 14 settembre 2013 nel carcere di Opera, ha minacciato di morte don Luigi Ciotti
Da Riina «astio» per don Ciotti
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Totò Riina nutre «un palese astio» nei confronti di don Luigi Ciotti, come lo aveva per don Pino Puglisi ed è «difficilmente contestabile la forza intimidatrice tipicamente mafiosa» nelle frasi emerse da un’intercettazione ambientale di un colloquio, avvenuto il 14 settembre 2013 nel carcere di Opera, durante l’ora d’aria, con Alberto Lorusso, esponente della Sacra Corona Unita, anche lui detenuto al 41bis.

Ma l’accusa contro il boss di Corleone deve essere archiviata perché le frasi, pur effettivamente minacciose, «erano destinate a rimanere prive di qualsivoglia rilevanza esterna» al carcere. Pertanto il reato di minaccia non si è concretizzato. Lo scrive il gip di Milano, Anna Magelli, nel provvedimento con cui ha archiviato l’indagine sulla minacce del 'capo dei capi' al presidente di Libera. Le minacce ci sono state, e di tipo mafioso, ma, scrive il gip, il reato ha «una natura relazionale», cioè «richiede necessariamente che si sia instaurato un rapporto tra minacciante e minacciato, tale per cui il soggetto passivo abbia percepito la minaccia dell’agente, anche in epoca successiva». E questo, secondo il magistrato, non c’è stato.

Soddisfatto il legale di Riina, avvocato Luca Cianferoni: «Una decisione semplice. Il diritto risente del clamore mediatico, ma ha anche anticorpi per affermare le proprie ragioni, ogni tanto». Di tutt'altro tono il commento di Enza Rando, vicepresidente di Libera e legale dell’associazione: «Il gip, diversamente da quanto aveva affermato il pm, ha accolto la nostra posizione, sostanziando che quelle erano minacce mafiose. Il fatto poi che non ci fosse la volontà di Riina di farle conoscere al di fuori dal carcere non ci trova d’accordo, perché i messaggi di Riina sono invece usciti e sono arrivati.

Comunque per noi è meno importante l’esito del processo del fatto che è stato riconosciuto che quelle erano minacce mafiose, con tutto quello che Riina rappresenta». Che spiega bene la presidente della commissione parlamentare Antimafia, Rosy Bindi, la quale due giorni fa ha visitato la struttura ospedaliera che ospita il boss dei corleonesi. E ora sulla sentenza commenta: «Riina è ancora il capo di 'cosa nostra', è capace di intendere e di volere e di dare ordini ». Lo stesso gip sottolinea «la forza intimidatrice tipicamente mafiosa evocata dai due interlocutori, non solo per i rispettivi ruoli di vertice in organizzazioni criminali, ma anche per i plurimi riferimenti a metodi mafiosi fatti nel corso del colloquio medesimo (il controllo del territorio da parte della mafia, il 'disturbo' arrecato da don Puglisi che non aveva lasciato stare quello stesso territorio, con la conseguente uccisione di quest’ultimo.

L’auspicata uccisione anche di don Ciotti proprio per la sua attività antimafia che giustificherebbe chi gli sparasse nelle corna) ». Il magistrato ricorda come Riina e Lorusso «hanno rivolto a don Ciotti vari insulti ( malvagio, cattivo, fetente, miserabile, vigliacco) e Riina ha affermato che... avrebbe voluto dirgli: 'ma lei perché non si faceva commissario... voleva fare il commissario... che fare il parrino' ». Minacce che, scrive il gip, «sono state pronunciate dopo aver ricordato l’impegno di don Ciotti nell’attività antimafia ed effettuando un parallelismo (per gli indagati negativo, per l’opponente oltremodo nobilitante e generoso) tra tale attività e l’operato di medesima matrice compiuto da don Puglisi, sacerdote la cui uccisione - lo si rammenta - è ampiamente giustificata da Riina, che parlando sl suo compagno 'di socialità' la pone in relazione alla volontà del sacerdote di 'governare' un territorio di 'cosa nostra', in tal modo arrecando disturbo a gente per ammazzarlo e facendo uscire pazzi due bravi ragazzi, come lo stesso Riina definisce i fratelli Graviano, mandanti dell’omicidio del prete».

Affermazioni molto chiare, quelle del gip, per sostenere la 'mafiosità' delle minacce a don Ciotti. Per questo, scrive ancora, «non è condivisibile» la posizione del pm secondo il quale «dal tenore del richiamato colloquio 'a parte le frasi di disprezzo per l’operato e la persona di don Ciotti non è dato in concreto evincere una minaccia concreta e immediata per la sua incolumità'». Insomma la minaccia c’è e grave, ma il gip non vi riscontra il reato per «mancanza della possibilità dei minacciati di far giungere a destinazione la prospettazione del male ingiusto». E questo malgrado in realtà sia poi stata resa nota addirittura nel corso di un processo e abbia portato al forte rafforzamento della tutela di don Ciotti. C’è sicuramente materia per un ricorso.

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