venerdì 7 agosto 2020
Nonostante le richieste del Comitato tecnico scientifico, quell’area non verrà mai chiusa. Ecco il documento pubblicato dall’Eco di Bergamo
Ad Alzano e Nembro gli esperti chiesero la «zona rossa». Ma nessuno li ascoltò

Ansa archivio

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Scripta manent. L’inchiostro di mesi fa, condensato nei documenti redatti all’alba dell’emergenza, tocca ferite che non si possono rimarginare, qui nel cuore della tragedia. Doveva essere chiusa, la Val Seriana. Per disinnescare la reazione a catena dei contagi un attimo prima dell’esplosione, il Comitato tecnico scientifico, organo di supporto della Protezione civile nella gestione della crisi, nitidamente indica la strada in un vertice il 3 marzo. Ad Alzano e Nembro «l’R0 (l’indice di contagio, ndr) è sicuramente superiore a 1, il che costituisce un indicatore di alto rischio di ulteriore diffusione del contagio – è scritto nel verbale della riunione anticipato ieri dall'Eco di Bergamo –. Il Comitato propone di adottare le opportune misure restrittive già adottate nei comuni della zona rossa, al fine di limitare la diffusione dell’infezione nelle aree contigue». Il documento è stato acquisito anche dalla procura di Bergamo, che ha un fascicolo aperto sul tema e ha già ascoltato – come persone informate sui fatti – anche il premier Conte, i ministri Speranza e Lamorgese, il governatore della Lombardia Fontana, l’assessore al Welfare Gallera. Zone rosse come Codogno, cioè cinturate dalle forze dell’ordine e con una vita sociale anestetizzata, Alzano e Nembro però non lo diventarono mai.

C’è una terra che senza clamore cerca verità, con la compostezza intrecciata al trauma. Oltre tremila i morti ufficiali per Covid in Bergamasca, altrettanti quelli invisibili ai bollettini: sono i decessi nel silenzio delle abitazioni e delle Rsa. «Era necessario chiudere Nembro e Alzano: andava bene farlo anche a marzo, si sarebbero salvate molte vite», ha commentato Guido Marinoni, presidente dell’Ordine dei medici di Bergamo, dopo la rivelazione del verbale. Per Francesco Rossoni, presidente dei volontari della Protezione civile di Alzano, invece «chiudere il 3 marzo non avrebbe cambiato nulla: i buoi erano già usciti dalla stalla fin dal 20 febbraio». «Il verbale dà atto di questo – è la posizione di Giulio Gallera, assessore lombardo al Welfare –: dice che ci siamo sentiti con loro per questo, perché per noi la zona rossa andava fatta. Le misure che si erano adottate non erano così efficaci, e bisognava fare qualcosa di più». E ancora, si solleva l’urlo dei comitati dei familiari delle vittime: «Ci sentiamo presi in giro, questo verbale non aggiunge nulla, noi chiediamo di avere tutti i documenti desecretati almeno a partire dal 22 gennaio».

Ma perché, pur di fronte a pareri e cifre, si temporeggiò sino alla catastrofe? A Codogno e dintorni la zona rossa viene istituita con ordinanza del ministero della Salute e «d’intesa col presidente della Regione Lombardia» nella tarda sera del 21 febbraio, a fronte di 15 contagi. Che però il problema sia anche altrove, lo si scopre poche ore dopo: domenica 23 febbraio, mentre qua e là si sfila per il Carnevale, il pronto soccorso dell’ospedale di Alzano è chiuso, sanificato e poi riaperto; nel nosocomio già da alcuni giorni erano presenti dei pazienti infetti. Il virus a Bergamo circolava da mesi, insito nel boom di polmoniti sospette. Il 25 febbraio, con 11 positivi nella bassa val Seriana, esordisce l’ipotesi di una zona rossa lì: «Stiamo valutando», dice Gallera nella conferenza stampa quotidiana. I cellulari di amministratori locali e imprenditori iniziano a pulsare: si può tenere insieme la prevenzione dei contagi e l’economia della laboriosa valle? Giovedì 27 febbraio, al quarto morto in Bergamasca, un 88enne di Gavarno, frazione di Nembro, Gallera afferma che «al momento è esclusa una zona rossa». L’ultimo giorno di febbraio la sola Nembro ha 25 positivi, e anche il sindaco Claudio Cancelli è in isolamento; il 1° marzo, una domenica in cui comunque si cerca di rilanciare lo shopping in città e ancora scorrono gli spot della Confindustria “Bergamo is running”, i contagi in terra orobica balzano a 209: la metà è concentrata in cinque comuni della valle.

Il mosaico del 3 marzo è allora composto. Nel tardo pomeriggio, sul tavolo dell’Istituto superiore di sanità ci sono i dati di Alzano e Nembro; il presidente Silvio Brusaferro parla di «valutazione sull’opportunità di estendere la zona rossa». Gallera, da Milano, descrive una crescita «esponenziale» e chiede all’Iss «di fare una valutazione e di suggerire a noi e al governo la migliore strategia». Inizia la riunione del Comitato tecnico scientifico, che sente al telefono Gallera e anche Luigi Cajazzo, a capo della Direzione generale Welfare di Regione Lombardia, i quali «confermano», si legge nel verbale del Cts, «i dati relativi all’aumento nei due comuni». Non c’è altra scelta, per gli esperti: blindare l’area. Si temporeggia, tuttavia. Giuseppe Conte non avrebbe mai letto il verbale di quella seduta, sostengono fonti vicine al premier. «Avremmo potuto farla noi la zona rossa? Ho approfondito ed effettivamente c’è una legge che lo consente» dirà però Gallera in tv il 7 aprile, riferendosi alla legge del 1978 usata da altri governatori e sindaci a creare aree off-limits.

Il 4 marzo Roberto Speranza, ministro della Salute, giunge a Milano per incontrare i vertici di Regione Lombardia: si parla ancora della zona rossa, con concitazione. Le chat impazzano: la sera del 5 marzo un consigliere regionale lombardo – di maggioranza – annuncia la zona rossa come «imminente». In effetti, da quella stessa sera centinaia di uomini delle forze dell’ordine alloggiano in alcuni hotel nei dintorni di Zingonia. Le Truppe alpine dell’Esercito, ha svelato il generale Claudio Berto nelle scorse settimane ascoltato alla Camera, avevano un piano d’azione: «Nel periodo 5-8 marzo erano state dispiegate 136 unità pronte a implementare, ove fosse stata dichiarata, la zona rossa nel Bergamasco». Quell’ordine tuttavia non parte; l’8 marzo, invece, il governo crea una zona arancione su tutta la Lombardia, poi estesa al resto del Paese. All’esercito invece toccherà poi portare lontano da Bergamo i feretri dei troppi morti, istantanea di una tragedia collettiva.

IL DOCUMENTO ORIGINALE

Tutti contro Conte: «Ma agimmo bene» di Luca Liverani

La proposta inascoltata del Comitato tecnico scientifico di chiudere Alzano e Nembro, fatta il 3 marzo, scatena le opposizioni. Scoppia il caso sul verbale riservato, reso pubblico dal governo, in cui si raccomandava la chiusura dei due comuni nel bergamasco.

l viceministro della Salute Pierpaolo Sileri dunque difende la scelta fatta: «Chiudere l’Italia è stata una scelta coraggiosa – dice a Sky Tg24 – la migliore mai fatta, che ha fatto risparmiare circa 600mila vite in Italia». Nei primi giorni di marzo, ricorda, «i dati cambiavano di ora in ora. Quanto detto il 2 marzo, il 3 poteva essere meno valido. Nessuno disse “la zona va chiusa, punto”. Poi, 7 e 8 marzo, si è arrivati alla chiusura dell’Italia: è stata precoce, subito dopo la presa di coscienza che l’andamento dei dati avrebbe portato poi a un’esplosione che avrebbe potuto colpire tutta Italia».

Ma il leader della Lega va all’attacco. «Se contro il parere del Comitato tecnico scientifico, Conte ha sequestrato 60 milioni di italiani senza avere necessità di farlo, sarebbe criminale», dice Matteo Salvini. «Se io vado a processo per il sequestro di qualche decina di immigrati su una barca, allora portiamo Conte al tribunale internazionale. Al governo dovrebbero essere arrestati». Gli risponde il sottosegretario agli Esteri Manlio Di Stefano che ricorda come proprio Salvini «il 10 marzo scriveva “chiudere tutto” e “se salviamo la salute salviamo l’economia”».

Per Fratelli d’Italia «una decisione più tempestiva avrebbe potuto evitare migliaia di morti. Chi ha sbagliato si assuma le sue responsabilità», dichiara l’eurodeputato Carlo Fidanza.

Come Salvini, anche Maurizio Gasparri di Forza Italia dice che «il governo ha agito in maniera irresponsabile e illegale. La magistratura intervenga chiedendo di giudicare Conte per gli atti criminali compiuti e per le gravi responsabilità verso la Nazione».
Per il sindaco di Bergamo Giorgio Gori però la responsabilità della Regione Lombardia resta: «Che il Cts avesse raccomandato la zona rossa in Val Seriana lo sappiamo dal 3 marzo. Il governo esita quattro giorni e poi opta per la zona arancio a tutta la Lombardia. La Regione, invece, si chiama fuori: la zona rossa non tocca a me. Ma non la chiede neanche al governo». «Parlare dopo è molto più facile che fare durante», chiosa il presidente dell’Emilia–Romagna Stefano Bonaccini.

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