domenica 24 settembre 2017
Esperti d'accordo: più servizi, più aiuti, più sostegno, più case, più lavoro. L'emergenza demografica si risolve solo con interventi di ampio respiro.
I demografi: come uscire dal buio di un Paese che non fa più figli
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Francia batte Italia 750mila a 473mila. Purtroppo non è il risultato di una folle partita di calcio, ma qualcosa di molto più drammatico. È il confronto tra i bambini nati nel 2016 al di là delle Alpi e quelli nati da noi. La differenza ha conseguenze molto più gravi di quella che potrebbe apparire da uno sguardo superficiale.

Nel 2016 la popolazione francese è aumentata di 266mila unità, noi siamo diminuiti di 76mila unità. Il saldo naturale (differenza nati/ morti) per la Francia è +198 mila, per noi -142mila. Stiamo parlando di due mondi diversi? No, semplicemente di due Paesi in cui da una parte si aiutano le famiglie e si sostengono le nascite, dall’altra no. E se in un Paese – purtroppo l’Italia – le politiche familiari sono un fallimento e le nascite crollano, tutto è destinato a impoverirsi, vacillare, sgretolarsi.

Il Pil scende, calano consumi e produzione industriale, il sistema pensionistico e quello sanitario non reggono più, il sistema del welfare diventa insostenibile, i pochi giovani rimasti sono costretti ad andare all’estero. Sta succedendo proprio tutto questo. L’inverno demografico congela l’intero sistema Paese. Non c’è da unire le forze per fermare il declino? Sarà l’allarme che verrà rilanciato nel corso della Conferenza nazionale per la famiglia, giovedì 28 e venerdì 29 a Roma.

Il gruppo che si è occupato della crisi demografica è stato coordinato da Gian Luigi De Palo, presidente del Forum delle associazioni familiari, affiancato da Fernanda Ballardin, dirigente del ministero dell’Economia e componente dell’Osservatorio nazionale della famiglia, a cui toccherà anche compilare il rapporto fnale del gruppo. Il dibattito conterà poi sul contributo di tre docenti di demografia: Giancarlo Blangiardo (Università Bicocca di Milano), Alessandro Rosina e Rosangela Lodigiani (entrambi dell’Università Cattolica).

Con prospettive diverse, torneranno a ricordare i numeri impressionanti del quadro demografico italiano. A cominciare da quello delle nascite che dal 2015 sono scese sotto quota 500mila, la più bassa dall’unità d’Italia, fatto salvo solo il periodo della Prima guerra mondiale.

Ma cercheranno anche di mettere in luce le cause del fenomeno denatalità, le conseguenze e, soprattutto le possibili vie di uscita. Cosa sta succedendo al mondo delle famiglie? «Il saldo naturale non è mai stato così basso e anche il passaporto – sintetizza Blangiardo – non fa più la differenza (cioè anche le donne straniere si sono ormai uniformate ai nostri stili di vita). Alla fine del 2017, se la tendenza sarà confermata, arriveremo a poco più di 450mila nascite. E se così sarà, verrà registrato anche un nuovo record negativo per i morti, tra i 650 e i 700mila».

Altro elemento per dire che c’è un’altra crisi che nessuno considera, ma che è destinata a lasciare il segno in modo ben più pesante e duraturo rispetto a quella economica. Come fare per uscire dal tunnel? «La ricetta – osserva ancora il docente – è sempre quella, e cioè recuperare la famiglia sul piano demografico, rilanciare la natalità, passare dall’accoglienza solidale dell’immigrato alla valorizzazione autentica, non perdere il capitale umano giovane, raccontare correttamente la crisi demografica, con le sue conseguenze attraverso i media per sensibilizzare la popolazione e avere il consenso rispetto alle cose da fare».

Ma non si pensa mai a quanto la crisi demografica abbia inciso anche nelle dinamiche interne delle famiglie. «Le specificità positive della famiglia italiana – argomenta Rosina – si sono trovate imbrigliate in difesa e vincolate verso il basso. La forte e intensa relazione tra genitori e figli, in carenza di adeguate politiche, è diventata iperprotezione dei genitori verso figli sempre più unici, carico eccessivo di accudimento dei figli adulti verso i genitori anziani non autosufficienti, rifugio nelle reti di relazioni strette e sfiducia verso le istituzioni».

La strada per uscirne? Le idee sono chiare: «Servono politiche adeguate per tornare ad essere il motore di un Paese che riprende virtuosamente e vigorosamente a crescere». Sperando che la politica raccolga finalmente il senso di un ultimatum da cui dipende il futuro di tutti. Il tempo è scaduto.

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