martedì 26 settembre 2017
Un'operazione della Guardia di Finanza ha alzato il velo sulla pratica dei concorsi truccati, portata avanti dai docenti finiti ai domiciliari. Altri 22 sono stati interdetti dalle funzioni
Pilotavano i concorsi, arrestati sette docenti universitari
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«Non è che non sei idoneo..... È che non rientri nel patto». In che cosa consistesse questo “patto”, l’hanno scoperto i finanzieri del Comando di Firenze, che per mesi hanno intercettato le conversazioni di stimati e insospettabili professori universitari di Diritto tributario di diversi atenei italiani, accertando così l’esistenza di «sistematici accordi corruttivi» per decidere i vincitori del concorso per l’abilitazione scientifica nazionale all’insegnamento relative all’anno accademico 2012-2013.

Nei guai, nell’operazione “Chiamata alle armi” - dalla modalità con cui gli indagati per corruzione esercitavano la propria influenza sui colleghi, arrivando a definire essi stessi “chiamata alle armi”, le pressioni per far promuovere i propri protetti - sono finite 59 persone. Sette docenti sono stati posti agli arresti domiciliari. Sono: Fabrizio Amatucci, docente alla Federico II di Napoli, Giuseppe Maria Cipolla (Università di Cassino), Adriano di Pietro (Università di Bologna), Alessandro Giovannini (Università di Siena), Valerio Ficari (Università di Roma 2), Giuseppe Zizzo (Università Carlo Cattaneo di Castellanza, Varese), Guglielmo Fransoni (Università di Foggia).

Altri 22 docenti sono stati interdetti allo svolgimento delle funzioni per dodici mesi. Tra gli indagati, c’è inoltre Augusto Fantozzi, ex-ministro delle Finanze nel governo Dini e del Commercio con l’estero nel primo governo Prodi, che tramite il proprio avvocato si dichiara «completamente e indubitabilmente estraneo ai fatti», perché in pensione all’epoca degli avvenimenti oggetto dell’indagine, che ieri ha portato oltre 500 finanzieri a eseguire più di 150 perquisizioni domiciliari presso Uffici pubblici, abitazioni private e studi professionali.

«Il contesto investigativo – si legge in una nota – ha preso le mosse dal tentativo di alcuni professori universitari di indurre un candidato al concorso per l’Abilitazione scientifica nazionale all’insegnamento nel settore del “diritto tributario”, a “ritirare” la propria domanda, allo scopo di favorire un terzo soggetto in possesso di un profilo curriculare notevolmente inferiore, promettendogli che si sarebbero adoperati con la competente Commissione giudicatrice per la sua abilitazione in una successiva tornata».

Il giovane studioso, Jezzi Philip Laroma, però, non ci sta, registra i colloqui con il telefonino e va dritto in Procura a denunciare l’andazzo. «Fai ricorso? Ti giochi la carriera», si era, inoltre, sentito rispondere. Del resto, per stessa ammissione di uno degli indagati, «la logica universitaria è questa, è un do ut des...». Un sistema, puntualizzano gli inquirenti, «finalizzato a rilasciare le abilitazioni secondo logiche di spartizione territoriale e di reciproci scambi di favori, con valutazioni non basate su criteri meritocratici bensì orientate a soddisfare interessi personali, professionali o associativi».

Sul caso è intervenuto anche il ministro dell’Università e Ricerca scientifica, Valeria Fedeli, che ha detto di voler «andare fino in fondo» nell’accertamento delle responsabilità. Fedeli ha aggiunto che entro ottobre arriverà una sorta di codice di comportamento sull’università sul quale il Miur da mesi sta lavorando insieme all’Anac nell’ambito delle iniziative anticorruzione.

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