giovedì 31 ottobre 2019
Atterrati a Fiumicino 51 richiedenti asilo fuggiti in Etiopia dall'Eritrea, la Somalia e il Sudan. Molti i ricongiungimenti familiari. Ad attenderli amici e parenti già integrati
(Foto Siciliani-Gennari)

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È stato il corridoio dei ricongiungimenti familiari. Sono atterrati all'alba all'aeroporto di Fiumicino i 51 richiedenti asilo, primo gruppo del nuovo protocollo sottoscritto il 3 maggio al Viminale dalla Conferenza episcopale italiana - che opera attraverso Caritas e Fondazione Migrantes - e dalla Comunità di San'Egidio, con i ministeri dell'Interno e degli Esteri. L'accordo prevede l'arrivo entro due anni di 600 profughi dal Corno d'Africa, per integrare in Italia persone fuggite in Etiopia dalla dittatura eritrea, dal caos somalo e dalla guerra sudanese. L'accordo prevede anche arrivi dalla Giordania. Un analogo accordo ha già portato in Italia 500 rifugiati tra 2017 e 2018.

Dei 51 richiedenti asilo, visibilmente felici ed emozionati, 41 sono eritrei, 8 somali e 2 sudanesi. Le donne sono 27, gli uomini 24. Tra loro 14 minorenni, diversi i bambini di pochi anni. Nel gruppo 19 persone sono arrivate sole. Molti hanno potuto abbracciare già all'aeroporto familiari e amici da tempo residenti in Italia. È grazie al percorso di protezione internazionale che molte famiglie hanno potuto riunirsi, anche dopo anni di divisioni. Attualmente la legge italiana limita fortemente i ricongiungimenti familiari per i migranti economici, possibili esclusivamente per il coniuge e i figli, ma solo se minorenni.

Ad accogliere il gruppo, tra palloncini e mazzi di fiori, è il direttore di Caritas italiana, monsignor Francesco Soddu: «Sento di unire le mie lacrime e quelle della Chiesa italiana alle vostre lacrime di gioia. Siete qui anche per dare una testimonianza a chi non vuole capire che ci sono milioni di persone nel mondo che hanno bisogno di sicurezza e protezione. Vi chiediamo di essere testimoni di questa umanità vittima di violenze ma anche di diffusa indifferenza. Per questo - aggiunge don Soddu - il mio pensiero va alle migliaia di persone rinchiuse nelle carceri libiche, insieme ad una preghiera per chi ha perso la vita in mare». Il direttore lancia un appello a chi ha responsabilità di governo: «Non si può barattare l’interesse di parte con la tutela dei diritti umani».

Olviero Forti, responsabile dell'ufficio immigrazione di Caritas italiana, annuncia che «un secondo gruppo di 80 persone dall'Etiopia è atteso per la fine di novembre». In primavera poi arriveranno richiedenti asilo dalla Giordania, fuggiti dall'Irak e dalla Siria. «Contatti sono in corso col Niger», che ospita temporaneamente migranti liberati dai centri di detenzione in Libia grazie all'azione dell'Acnur, in attesa di essere reinsediati in Europa.

A salutare i 51 anche Daniela Pompei, responsabile servizio migranti e rifugiati della Comunità di Sant’Egidio: «Oggi per voi inizia una nuova vita con i vostri familiari, dopo tanti anni di separazione, perché spesso le leggi europee sono restrittive sui temi del ricongiungimento familiare. Come per Feven e Gabriel, giunti oggi, che non potevano riunirsi con la loro mamma perché maggiorenni. Speriamo che tanti Paesi europei aprano questa via legale e umana che fa arrivare le persone sorridenti e in sicurezza». A dare il benvenuto in Italia anche i rappresentanti delle istituzioni: il prefetto Michela Lattarulo del ministero dell’Interno e Luigi Vignali, del ministero degli Esteri.

Tanta l'emozione e la gioia tra i 51 richiedenti asilo che ora stanno raggiungendo le loro destinazioni, accolti presso parrocchie e comunità, ma anche familiari e amici a Roma, Bologna, Firenze, Genova, Gubbio, Martina Franca, Milano e Padova. Come per Jay, eritreo di 28 anni, che ha portato una rosa per accogliere dopo un anno di separazione forzata Helen, la sua fidanzata. Sannait, 35 anni, anche lei eritrea, riabbraccia la sorella che non vedeva da 8 anni. Janeth in Italia è arrivata rischiando la vita in mare 11 anni fa, vive a Roma e fa la domestica. Riabbraccia il cognato e la nipotina di 7 anni e mezzo. Non la sorella, purtroppo, morta di tumore un anno fa. E c'è anche chi oggi abbraccia familiari arrivati in tutta sicurezza, dopo averne persi altri nel tragico naufragio di Lampedusa del 3 ottobre 2013 in cui morirono 368 persone. Diversi tra gli eritrei quelli che già parlano la nostra lingua, perché hanno studiato nelle scuole italiane. E c'è chi addirittura ha un nonno italiano, da cui ha ereditato un italianissimo cognome: Crispi. Italiano anche il suo nome di battesimo (nel gruppo i cristiani ortodossi sono la maggioranza), che è Salvatore. Ha sicuramente una marcia in più Salvatore Crispi, giovane geometra eritreo, per affrontare il suo percorso di integrazione.





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