mercoledì 31 ottobre 2018
Nel gruppo sbarcato stamattina 32 i minori. Il modello creato da Comunità di S.Egidio, Chiese evangeliche e Tavola valdese imitato anche in Francia, Belgio e Andorra. «Ora bisogna evacuare la Libia»
 Atterrati a Fiumicino 83 profughi dalla Siria, 1.400 dal 2016
COMMENTA E CONDIVIDI

Con gli 83 profughi atterrati stamattina a Fiumicino, arrivano a quota 1.397 i siriani fuggiti dall'inferno della guerra civile e arrivati in Italia grazie al modello inventato dalla Comunità di Sant'Egidio e realizzato assieme alla Federazione delle comunità evangeliche in Italia (Fcei) e alla Tavola valdese. Una via per salvare dai campi profughi libanesi persone con particolari fragilità: famiglie con bambini piccoli, anziani, malati, disabili. Un modello che la Cei attraverso la Caritas ha replicato in Etiopia, in collaborazione con Sant'Egidio, per portare in salvo finora circa 400 profughi dall'Eritrea e dalla Somalia. Protocolli sperimentati, condotti in collaborazione coi ministeri dell'Interno e degli Esteri. In totale sicurezza per chi parte con un volo di linea, evitando la roulette russa delle traversate del Mediterraneo o dei Balcani. Ma anche per il Paese che sa prima della partenza chi è che accoglie.

Il gruppo, arrivato all'alba all'aeroporto romano, è stato finora quello con più bambini e adolescenti: ben 16 nuclei familiari con 28 bambini sotto i 14 anni, in tutto 32 minori, quasi il 40 per cento. «Viva l'Italia» gridano i bambini reggendo lo striscione «Benevenuti» e sventolando palloncini colorati. Vengono da Homs, Hama, Idlib, Damasco, Dar El Zor, Darà, Aleppo. Nomi che evocano bombardamenti, distruzioni, morti. Per loro ora comincia una nuova vita. Un percorso di cui si fanno carico completamente gli organizzatori: sia dal punto di vista economico che per il percorso di integrazione: la casa, la lingua, la scuola per i bambini, il lavoro. E sono già tante le famiglie che hanno cominciato a mantenersi da sole. Tra gli 83 arrivati all'aeroporto Leonardo Da Vinci loro ci sono mogli che incontrano mariti già in Italia da tempo, bambini che ritrovano il papà. Per molti l'arrivo a Roma è solo una tappa verso la loro destinazione finale. Nel Lazio come in Lombardia, Piemonte, Sardegna, Sicilia, Calabria, veneto. Parrocchie, associazioni, movimenti che adottano queste famiglie seguendole nel percorso di integrazione.

Come Qutaiba, arrivato il 16 giugno 2016 con il secondo gruppo di profughi portati in Italia da Papa Francesco dopo la sua visita sull'isola di Lesbo in Grecia. Ingegnere petrolifero, ora parla bene l'italiano, lavora in un ristorante e si paga l'affitto. Stringe forte la mano di Galia, la sua giovane moglie: «Al lavoro mi hanno dato la licenza matrimoniale», dice felice. «Ora la nostra vita è qui in Italia. In Siria mi piacerebbe tornare, ma non ora. Ci vorranno anni perché tutto si normalizzi». E altrettanto felice è pure la famiglia di Mohamed, la moglie e i 4 figli che vivono già da tre mesi a Scicli in Sicilia.

Ad accoglierli c'è il fondatore di Sant'Egidio, Andrea Riccardi: «Non ci siamo ancora abituati a questi arrivi, ogni volta è una grande emozione. Penso al loro futuro che comincia nel nostro Paese, o al loro ritorno in una Siria pacificata. Se la guerra è diabolica, l'accoglienza è un segno dell'amore di Dio». «Cattolici e protestanti hanno dato vita assieme a un'esperienza mai vista», dice Paolo Naso a nome delle Chiese protestanti i Italia: «In passato siamo stati spesso divisi, ma oggi su questo progetto siamo uniti in un rapporto di assoluta fraternità. Vi accogliamo non solo come cristiani, ma anche come cittadini italiani, perché l'accoglienza di chi fugge dalla guerra e dalla violenza è un diritto sancito dalla nostra Costituzione. A Palermo nei prossimi giorni si apre la conferenza sulla Libia. Noi come società civile proponiamo uno sviluppo europeo dei corridoi umanitari anche dalla Libia».

Per il saluto ai profughi Yasmine non ha bisogno dell'interprete. E' arrivata per prima, avanguardia dei 1.397, a febbraio 2016, assieme al marito e due bambini. E ora passa disinvoltamente da un ottimo italiano all'arabo: «Mi fa piacere darvi il benvenuto che io ho ricevuto due anni e mezzo fa. Fiumicino per me è un bellissimo ricordo. Ho imparato la lingua alla scuola di italiano di Sant'Egidio, lavoro come mediatore culturale con la Diaconia valdese e sono al secondo anno di università per specializzarmi in questa professione. Anche mio marito lavora. E mia figlia, che aveva una malattia rara, ora ha completato le cure e sta molto meglio».




© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI