mercoledì 4 dicembre 2019
Monsignor Krajevski ha ricordato l'appello del Papa: «Se ogni parrocchia o canonica prenderà una persona o una famiglia a Lesbo non ci sarà nessuno». Profughi afgani di etnìa azara e donne africane
L'arrivo dei migranti a Fiumicino (foto Luca Liverani)

L'arrivo dei migranti a Fiumicino (foto Luca Liverani) - Luca Liverani

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Sono arrivati da Lesbo questa mattina. Trentatré profughi atterrati a Fiumicino in tutta sicurezza grazie al corridoio umanitario voluto da papa Francesco attraverso l'Elemosineria e la Comunità di Sant'Egidio. Ad accompagnarli il cardinale Konrad Krajevski, ľelemosiniere del Papa, e i volontari della Comunità di Sant'Egidio.

Trenta sono profughi afgani di etnìa azara, una donna camerunense con una bimba di 3 mesi e una donna togolese. Troveranno accoglienza nelle parrocchie e nelle comunità di Roma e Nettuno. Tutto a carico della Santa Sede e della Comunità di Sant’Egidio. Lesbo resta una porta di accesso in Europa, ma per quasi tutti resta sbarrata. È comunque a poche miglia dalla costa turca ed è quindi inevitabilmente il traguardo dei viaggi di migliaia di disperati in fuga da guerra e violenze. Quando le condizioni del mare sono favorevoli, arrivano con piccole imbarcazioni anche 60 profughi al giorno. Ma le strutture di accoglienza sulľisola sono al limite. Vengono da Moria, dove ľhot spot da 3000 posti ne ospita circa 6000. E almeno altrettanti vivono fuori, accampati in un oliveto, soprannominato "la jungla", dove passano inverni ed estati sotto le tende distribuite dall'Acnur.

L'arrivo dei migranti a Fiumicino (foto Luca Liverani)

L'arrivo dei migranti a Fiumicino (foto Luca Liverani) - Luca Liverani

«Il Pontefice è colui che mette i ponti - dice il cardinale Konrad Krajevski - e oggi il ponte è questo corridoio. Il Vangelo di oggi parla della moltiplicazione dei pani e dei pesci. I miracoli li fa Dio. Ma con le persone di buona volontà possiamo moltiplicare i corridoi. Questo è il nostro miracolo. Il Papa è stato a Lesbo nel 2016 e ha portato con sé al ritorno tre famiglie. Io ci sono stato a Pasqua, c'erano 7 mila profughi. Ieri ne abbiamo trovati oltre 15 mila. Il Papa ľha già chiesto: se ogni parrocchia o canonica prendesse una persona o una famiglia, a Lesbo non ci sarebbe più nessuno». E cita l’ultimo esempio: «Il nuovo cardinale di Lussemburgo due settimane fa ha portato, a spese sue, due persone da Lesbo e ha diviso con loro lo spazio della sua casa». Poi ringrazia i ministero dell’Interno italiano «che ha superato tutti i problemi burocratici». E quello greco «che ha anche pagato tutti i biglietti aerei».

Andrea Riccardi, il fondatore della Comunità di Sant'Egidio, racconta della donna incontrata a Lesbo quest'estate: «Mi aveva detto che durante tutto il viaggio non aveva mai perso la speranza. L'ha persa invece dietro le recinzioni su quell'isola. Il Papa mi ha risposto che bisognava fare qualcosa per ridare la speranza». Speranza cui contribuisce il ministero dell'interno: il prefetto Michele Di Bari, direttore del Dipartimento libertà civili e immigrazione, riferisce dell'impegno del ministro Luciana Lamorgese «perchè con lo sforzo di tutti, questo possa diventare un corridoio europeo». Assieme alle autorità, a dare il benvenuto ai richiedenti asilo c’è anche Malek, siriano, arrivato in Italia da Lesbo nel 2016 dopo la visita di Papa Francesco.

Le famiglie di afgani azari e le due donne africane sono stanchi, ma fiduciosi. Esther, i capelli acconciati in treccine colorate, è scappata dal Togo per sfuggire ad un matrimonio forzato. Ha incontrato altre violenze, nel suo infinito viaggio che dal Golfo di Guinea l’ha portato fino nell’avamposto greco d’Europa. Parla e le lacrime le scorrono sul viso. Clarissa invece sorride: riprende dalle braccia dell'amica africana la sua bimba, paffuta e riccia, tre mesi l’altroieri, e le dà il latte col biberon prima che cominci ad agitarsi.

A Fiumicino c’è anche Mustafà, 14 anni, capelli nerissimi come i suoi occhi orientali, arrivato con tutta la famiglia: papà Abdullah, mamma Mariam, tre fratellini di cui due celiaci, e una sorellina con un piede malformato, la bambina di cui Avvenire aveva raccontato la storia a maggio, durante la prima visita del cardinale Krajevski al campo di Lesbo. «Fu Mustafà che a Lesbo ci fermò per mostrarci i documenti sanitari della sorella che portava un tutore», racconta Daniela Pompei, responsabile del servizio migranti e rifugiati di Sant’Egidio. Mariam finalmente sarà curata come si deve. Un altra famiglia è scappata dall’Afghanistan, passando in Iran e Turchia, perché il papà non voleva che la sua bella figlia 14 enne finisse sposa di un benestante uomo tagiko. Più in là c’è Fatemé, 15 anni, che stringe la mamma, Kobra, vedova che mostra molti più dei suoi anni. Dei suoi sei figli, uno è disperso, due sono sposate. Le due donne rimaste si confortano a vicenda. Prima di raggiungere le loro nuove destinazioni pranzeranno tutti alla mensa di Sant’Egidio di via Dandolo a Trastevere. A servirli a tavola i volontari della Comunità, che già hanno conosciuto a Lesbo i profughi durante le loro vacanze solidali. Ma anche altri profughi, siriani ed eritrei, arrivati con altri corridoi umanitari. Già disponibili, ora, a dare loro una mano.

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