venerdì 27 marzo 2020
Il premier incassa un supplemento di negoziato. Sul fronte interno apre alle opposizioni ma con il "freno"
Conte ha partecipato ieri sera in video conferenza al Consiglio Ue

Conte ha partecipato ieri sera in video conferenza al Consiglio Ue - Ansa

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Via tutto, anche le parti condivisibili. Perché l’approccio di alcuni Paesi europei, quelli del Nord, ormai agli occhi di Giuseppe Conte rasenta «l’irresponsabilità ». E dunque a poco serve accontentarsi di «modeste aperture » se manca «la visione, la volontà, il sentire comune». Il solenne «no» con cui il premier, a metà di un drammatico Consiglio Ue in video-conferenza, rifiuta il documento finale va oltre il merito delle questioni. È un «no» spartiacque, nelle intenzioni e nelle ambizioni del premier, perché persegue l’obiettivo di mettere l’attuale architettura europea spalle al muro: «Se qualcuno dovesse pensare a meccanismi di protezione personalizzati elaborati in passato, allora voglio dirlo chiaro: non disturbatevi, ve lo potete tenere, perché l’Italia non ne ha bisogno», tuona il presidente del Consiglio nel cuore della conferenza dei 27. Quella di Conte appare una linea invalicabile. Al punto che per qualche minuto si teme il “ lockdown” dell’Europa, con l’ammissione al mondo intero che l’Ue non ha una strategia contro il virus. Angela Merkel capisce il pericolo, chiama la pausa e poi si presenta per il 'secondo tempo' della riunione con toni molto ammorbiditi verso le richieste italiane (e non solo), portando sullo schema del dialogo anche l’olandese Mark Rutte. Dal veto, quindi, Conte incassa un supplemento di negoziato.

Chiaro il contesto: di fronte alle richieste di nove Stati, di cui quattro fondatori dell’Ue, di agire con strumenti straordinari e solidali, la trincea dei 'falchi' si è presentata con la stessa ricetta che l’altra sera sul Financial timesMario Draghi in persona ha spedito nella preistoria. E quindi i prestiti condizionati a tagli sanguinosi e via dicendo. «Come fossimo nel 2008, come fossimo la Grecia...», dice sin dal mattino la diplomazia italiana al lavoro sul documento, che già giudicava insufficiente, come risultato, la semplice eliminazione dal testo del capitolo Mes. Come se il problema fosse ancora e soltanto il debito italiano e non un virus che può mandare in soffitta l’intera economia Ue. «Nessuno qui pensa a mutualizzare il debito, ogni Paese risponde e risponderà per sé», precisa il premier agli scettici.

D’accordo con lo spagnolo Sanchez, dunque, Conte dà «dieci giorni» all’Europa – all’Eurogruppo per la prima risposta, a Von der Leyen e Michel per la road map complessiva – per «battere un colpo e trovare una soluzione adeguata, perché alle conseguenze del Covid bisogna rispondere domani mattina, non nei prossimi mesi». «Qui – prosegue Conte – si tratta di reagire con strumenti finanziari innovativi e adeguati a una guerra. Che diremo ai nostri cittadini se l’Europa non si dimostra capace di una reazione unitaria?», dice Conte nel suo discorso raccogliendo i consensi dello spagnolo Sanchez, del francese Macron, del portoghese Costa, del lussemburghese Bettel, del greco Mitzotakis, dell’irlandese Varadkar. «Non si possono usare strumenti elaborati in passato per affrontare tensioni finanziare riguardanti singoli Paesi», chiosa il premier.

L’affondo di Conte ha come conseguenza il prolungamento del vertice. Alla fine il premier raggiunge in parte l’obiettivo di far spostare Angela Merkel dalla posizione da equilibrista in cui ora si trova, a metà tra il rigore del Nord e la consapevolezza della posta in gioco per tutti.

Una strategia da “rischiatutto” che il premier ha sicuramente concordato con M5s e con Di Maio, e forse un po’ meno con il Pd, date le prime reazioni dem all’affondo del ministro degli Esteri sul Tg1 della sera contro l’Ue. Anche se in serata una nota del vicesegretario dem Orlando va a corroborare la posizione del premier. E il fatto che sarà l’Eurogruppo a scegliere gli strumenti finanziari ridà centralità al Mef e a Gualtieri.

In chiave interna, in un momento in cui i partiti di opposizione stagliano l’ombra di Draghi (ombra che i dem non hanno allontanato), è anche ovvio che il premier torni a consolidare l’asse con il partito che l’ha indicato per Palazzo Chigi due volte. E che proprio a uno dei luogotenenti M5s, il ministro D’Incà, Conte abbia affidato il compito di collaborare con il centrodestra in vista della stesura del decreto d’aprile. Con un ministro M5s non “di vetrina” alla regia, si evita che la “collaborazione” sfoci in altro e si evita un incontro con i leader di partito

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