sabato 10 novembre 2018
Un piano delle Nazioni Unite per riaprire il dialogo tra le fazioni e dare il via al processo di pacificazione. Però mancheranno Putin, Merkel, Macron e anche il segretario di Stato Usa Pompeo
Un'immagine dei recenti scontri vicino all'aeroporto di Tripoli (Ansa)

Un'immagine dei recenti scontri vicino all'aeroporto di Tripoli (Ansa)

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Lanciata con l’ambizione di mettere ordine nel caos libico, la Conferenza di Palermo si è già ridimensionata strada facendo. Il programma presentato solo ieri è vago, il rischio di un fallimento resta alto secondo gli analisti.

Anzitutto per le defezioni dei big globali che hanno avuto voce nel conflitto. Infatti, nonostante il premier Conte, organizzatore del vertice insieme al ministro degli Esteri Moavero Milanesi, avesse assicurato la presenza dei principali leader, dal presidente statunitense Donald Trump al presidente russo Vladimir Putin per finire con il presidente francese Macron, la premier britannica Theresa May e la cancelliera tedesca Angela Merkel, da una decina di giorni stanno arrivando disdette e sostituzioni con figure di secondo livello. Trump, a Parigi oggi e domani per partecipare alle celebrazioni del centesimo anniversario dell’armistizio che ha messo fine alla Prima guerra mondiale, non sarà della partita a meno di clamorosi colpi di scena e non è stata confermata la partecipazione neppure del segretario di Stato Mike Pompeo. Mosca sarà rappresentata dal viceministro degli Esteri Mikhail Bogdanov, Parigi invierà il ministro degli Esteri Jean Ives Le Drian. Anche Angela Merkel, nonostante le rassicurazioni fornite personalmente a Conte, ha deciso di farsi sostituire dal ministro degli Esteri Niels Annen e Londra, che scatenò nel 2011 la guerra a Gheddafi insieme ai francesi, se la caverà inviando il sottosegretario agli Esteri Alistair Burt. Assenze che da parte europea sembrano sfiduciare il summit del governo pentaleghista.

Ci sarà naturalmente l’inviato Onu in Libia Ghassan Salamé, che ha illustrato giovedì al Palazzo di vetro il suo piano per la Libia che prevede il rinvio delle elezioni (e quindi della road map politica) nello Stato nordafricano al 2019 precedute dalla convocazione di una conferenza nazionale, l’unificazione delle istituzioni finanziarie per agevolare la redistribuzione delle risorse e la creazione di una forza militare per mettere in sicurezza Tripoli. Salamé ha il sostegno dell’Ue (che sarà rappresentata in Sicilia da Federica Mogherini) oltre a quello di Roma e punta molto sul vertice palermitano per far accettare il piano dalle fazioni libiche.

E qui si apre l’altro versante delicato. Se dopo aver cambiato idea Khalifa Haftar, l’uomo forte della Cirenaica – grazie ai buoni uffici di Mosca – dovrebbe partecipare, altre forze lamentano di essere state escluse. Ci saranno il presidente del parlamento di Tobruk Saleh e il capo del Consiglio di Stato Al Mishri, ma per sanare una ferita il presidente libico al-Serraj dovrà portare i suoi vice per far partecipare l’amico degli italiani, il potente esponente di Misurata Maetig, che non aveva ricevuto l’invito e non l’aveva presa bene. Il sito Libya Observer ospitava inoltre nei giorni scorsi le proteste di 10 partiti libici, seccati per l’esclusione. E la prevista conferenza della società civile è stata fatta slittare, come ha confermato la viceministra degli Esteri, Emanuela Del Re.

La Comunità di Sant’Egidio, che il 24 e 25 ottobre aveva organizzato un vertice in Fezzan con le tribù locali in collaborazione con la Farnesina – non in contrasto, come hanno scritto alcuni quotidiani e siti di area sovranista attribuendo ai santegidini nientemeno che un ruolo di quinta colonna di Macron nel sud della Libia – ha ricordato nei giorni scorsi la difficile situazione umanitaria nell’area, dove si vive di traffici e mancano le medicine. Prevista invece una nutrita presenza nordafricana, dal presidente egiziano al Sisi, sostenitore di Haftar, ai leader dei Paesi limitrofi come Ciad, Niger, Tunisia e Algeria.

Sugli esiti gli analisti sembrano scettici. Secondo Claudia Gazzini, dell’International crisis group, molto dipenderà dalla posizione della Russia, coinvolta nel sostegno ad Haftar. Ma dubita che la conferenza di Palermo produca qualcosa di significativo. «All’inizio il governo di Roma pensava di poterla usare per mettere sul tavolo una proposta di accordo politico tra le parti e quindi l’Italia ne sarebbe uscita come il grande mediatore. Questo non è realmente possibile, non ci sono i punti d’intesa tra le parti».

Qual è il principale ostacolo? Per l’analista il sospetto tra gli uomini della Cirenaica che la conferenza possa portare a un riconoscimento internazionale e a un prolungamento del governo al-Serraj. Anche dal basso profilo del vicepremier Di Maio si capisce come le aspettative siano diminuite. Ci si aspetta di imboccare la strada giusta, ha detto, quindi apertura di canali di dialogo (martedì mattina si vedrà chi presenzierà alla "foto di famiglia"). L’obiettivo principale di Palermo è far accettare il piano Onu. Resta da vedere se dietro le quinte ci sarà un’intesa con Parigi o se continuerà il derby. Un risultato pare raggiunto: per la prima volta in due anni della Libia se ne occupano i palazzi del potere titolati, Palazzo Chigi e la Farnesina, mentre il Viminale, che in maniera anomala era diventata l’unica voce sull’ex quarta sponda, resta per ora alla finestra.

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