venerdì 13 marzo 2020
L'impegno delle parrocchie per la residenza dei senza dimora, ma le norme del "decreto sicurezza" limitano i beneficiari. Solo 10 italiani e 2 stranieri
La firma del protocollo di San Severo

La firma del protocollo di San Severo - .

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Primi passi del Protocollo tra Diocesi e Comune di San Severo per risolvere il problema della residenza dei senza dimora, immigrati e italiani, ed emergono risultati positivi ma anche sorprese e la conferma degli effetti nefasti del cosiddetto primo "decreto sicurezza" (LEGGI QUI). Che di fatto in parte vanifica la bella e innovativa iniziativa, la prima di questo tipo. Tante richieste di aiuto ma poche risolvibili, proprio per colpa del decreto. Ricordiamo che tutto nasce il 27 settembre 2019 in occasione della visita ai ghetti del Foggiano del cardinale Konrad Krajewski, Elemosiniere di papa Francesco.

«C’è il problema della residenza, dei documenti. Senza, il padrone non ci fa il contratto», gli avevano detto. E padre Corrado aveva fatto una promessa. «Conosco questo problema. Voi dovete avere i documenti, perchè vi danno la dignità e vi rendono autonomi. Vi aiuteremo». Appena un mese dopo il vescovo di San Severo, Giovanni Checchinato e il sindaco di San Severo, Francesco Miglio, alla presenza del cardinale, avevano firmato il protocollo che prevede che le parrocchie che aderiranno daranno il domicilio a immigrati e senza dimora, la Caritas diocesana istruirà la pratica e la porterà al Comune, che li iscriverà all’anagrafe, con la cosiddetta «residenza fittizia». San Severo l’ha già istituita nel 2015, e si chiama molto significativamente «via dell’Angelo Custode», nome scelto dal sindaco, ci spiega l’assessore ai Servizi Sociali, Simona Venditti, che è anche volontaria della Caritas diocesana.

Ma era stata molto poco utilizzata. Anche per questo, ricorda il direttore della Caritas, don Andrea Pupilla, «tra metà dicembre e metà gennaio abbiamo svolto alcuni incontri preparatori di formazione per parroci, operatori e referenti parrocchiali Caritas e dipendenti comunali».

Da febbraio il Protocollo è operativo. Nelle prime settimane hanno dato disponibilità cinque parrocchie: San Bernardino, Madonna della Divina Provvidenza, San Giuseppe artigiano, San Severino, e la Rettoria di San Lorenzo. E ci sono già le prime pratiche da avviare al Comune. Dieci sono di italiani. Tra di loro un cinquantenne al quale hanno occupato casa popolare e che ora vive in un casolare di campagna; una coppia, lei cacciata dalla famiglia, lui uscito da carcere; un uomo che vive alla stazione e mangia in Caritas. «Non siamo andati a cercarli, sono loro ad essere venuti. È come se aspettassero proprio questa occasione», commenta don Andrea. Solo due, invece, le pratiche relative a stranieri, uno della Costa d’Avorio e uno della Romania. Pochissimi, una sorpresa. In realtà in appena due settimane ad aver presentato domanda sono stati in 40, ma non c’erano le condizioni del permesso di soggiorno. Perchè, lo ricordiamo, il primo “decreto Salvini” ha limitato l’iscrizione all’anagrafe solo a chi ha beneficiari di protezione internazionale, cioè a chi ha il permesso di soggiorno come rifugiato.

Tutti gli altri, la maggioranza, sono esclusi, anche chi ha un lavoro. E proprio questo è uno dei punti del decreto che le associazioni del Terzo settore chiedono al Governo di cambiare. E sarebbe anche tra le modifiche che il ministro dell’Interno, Luciana Lamorgese avrebbe predisposto e che attendono il "via libera" politico. Intanto, malgrado alcune sentenze favorevoli ai richiedenti asilo, la legge da applicare è sempre il decreto. E questo rischia di vanificare almeno in parte una bella iniziativa come quella di San Severo. Che però piace. Già due comuni umbri, Assisi e Foligno, hanno chiamato per avere informazioni.

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