venerdì 20 maggio 2022
Segnali preoccupanti nella maggioranza, ma il premier sferza i partiti. La riunione è durata solo 10 minuti. Ma è stata intensa
Il primo ministro, Mario Draghi

Il primo ministro, Mario Draghi - Ansa

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L’allarme inizia a suonare mentre Mario Draghi pronuncia la sua informativa mattutina al Senato sul conflitto in Ucraina. Quasi in contemporanea, dalla commissione Industria di Palazzo Madama, dove da mesi è impantanato il ddl concorrenza, filtrano parole che suonano come irricevibili per Palazzo Chigi. «Pausa di riflessione», «riprendiamo dopo le amministrative», «ci sono ancora nodi», sono le voci che dai capigruppo dei partiti di maggioranza giungono sino al banco del governo. E così il premier decide di mandare un segnale forte, immediato.

Rientrato di pomeriggio nel suo studio, convoca un Cdm di emergenza con all’ordine del giorno «comunicazioni del presidente del Consiglio». La riunione di governo è fissata per le 18, la notizia sui telefoni dei ministri arriva poco prima delle 17.30. Preavviso minimo, urgenza assoluta. E il Cdm, di per sé, dura dieci minuti.

Il tempo che Draghi metta sul tavolo una clessidra immaginaria: il premier ricorda ai ministri che dal varo del provvedimento da parte dell’esecutivo non c’è stato nemmeno un voto in commissione e che l’impegno assunto nel Pnrr è quello di varare, entro dicembre 2022, anche i decreti delegati, insomma le norme applicative concrete. «Nel pieno rispetto delle prerogative parlamentari», Draghi dunque chiede «un’iscrizione in aula del provvedimento entro la fine di maggio, in modo da pervenire a una rapida approvazione e procedere alla trasmissione alla Camera». «Il mancato rispetto di questa tempistica – aggiunge il premier – metterebbe a rischio, insostenibilmente, il raggiungimento di un obiettivo fondamentale del Pnrr, punto principale del programma di governo».

I ministri approvano all’unanimità e danno l’assenso a porre la questione di fiducia nel caso non ci fosse lo sprint richiesto.

Paziente e silenzioso sulle centouno polemiche politiche giornaliere, il premier invece non vuole consentire che stalli e veti incrociati mettano a rischio le prossime rate del Pnrr. Il bersaglio stavolta è il centrodestra di governo, con Fi e Lega che fanno melina per provare a stralciare le gare per le concessioni balneari, che dovrebbero partire - e già la data è frutto di mediazione politica - nel 2024. Uno stralcio che non è nei pensieri di Draghi e dell’altra parte di maggioranza formata da Pd e M5s. Pochi giorni ancora alla commissione per trovare una quadra, poi si corre sul testo varato dal Cdm.

I 30 minuti che passano dall’annuncio del Cdm al suo svolgimento sono lunghissimi. La voce di un premier stizzito dalla maggioranza fa temere estreme conseguenze. Ma Draghi resta fermo sulle priorità e sul cronoprogramma. Non ne fa una questione politica generale. Ne fa una questione di rispetto degli impegni presi e di credibilità. E quindi non vuole dare la sensazione, anche nelle comunicazioni fatte ai ministri, che la presa di posizione sulla concorrenza sia un segnale più ampio, che riguardi ad esempio la diatriba sulle armi o altre riforme bloccate, come quella del Csm e del fisco.

Eppure, per quanto il premier non voglia allargare il cerchio, il segnale sembra comunque ampio. D’altra parte, prima del Cdm, sia al Senato che alla Camera, aveva ribadito che il governo da un lato è alla ricerca di una soluzione di una pace secondo quanto sarà considerato plausibile dall’Ucraina, dall’altro resta fermo nel sostegno a Kiev, anche militare, nel rispetto della risoluzione parlamentare del primo marzo e con spirito di «lealtà» nei confronti dell’Ue e dell’Alleanza atlantica - a questo proposito, Draghi annuncia anche un aumento di mille unità italiane sul fronte orientale Nato -.

«È la credibilità internazionale che ci consente di essere in prima linea per la pace», spiega Draghi alle Camere. «È la resistenza ucraina che oggi ci consente di parlare di dialogo», insiste ancora il premier. Su questa linea il presidente del Consiglio si sente sostenuto dalle Camere, anche dopo la giornata di ieri. È vero che Salvini nel suo intervento ha detto «no» a nuovi invii di armi, ma non ha chiesto quel voto parlamentare che invece Giuseppe Conte, solo nella maggioranza, continua a reclamare. Motivo per cui prima del Consiglio Ue straordinario di fine maggio non ci saranno comunicazioni del premier e non ci saranno nuove risoluzioni. Un nuovo «mandato» delle aule arriverà in occasione del Consiglio Ue ordinario di giugno strettamente collegato al Consiglio Nato straordinario.

Eppure, per un momento si è pensato che il Cdm d’emergenza fosse convocato proprio per la questione armi. Non è così. La sensazione, in realtà, è che un quarto decreto per le forniture belliche non sia imminente. Perché altri sono gli aspetti del conflitto che stanno prendendo l’attenzione della comunità internazionale, soprattutto il rischio di una crisi alimentare costantemente evocata dal premier nelle aule. Conseguenze drammatiche, mortali, per i Paesi poveri. Conseguenze economiche sull’intera scala mondiale. Considerazioni che spingono sempre più cancellerie a cercare vie diplomatiche e canali di confronto con Mosca.

Anche Roma spinge sul tasto diplomatico. E la "notizia" che Draghi dà alle Camere è che a inizio luglio avrà un bilaterale ad Ankara con la Turchia di Erdogan. È quello il canale in cui l’Italia sembra credere di più.



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