venerdì 10 dicembre 2021
Con la crisi nel Tigrai, gli scontri su larga scala sono saliti quest’anno a 22. Monsignor Soddu: si è però «risvegliato un comune senso di appartenenza all’unica famiglia umana»
Civili sfollati nella zona di Goma, nella regione orientale del Nord Kivu, dove frequentemente colpiscono i gruppi terroristici filo-jihadisti

Civili sfollati nella zona di Goma, nella regione orientale del Nord Kivu, dove frequentemente colpiscono i gruppi terroristici filo-jihadisti - Ansa

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Il Covid ha portato più guerre e disuguaglianze in tutto il pianeta. Sono diventate 21 le guerre ad alta intensità nel 2020, sei in più rispetto all’anno precedente, quando erano 15. Tra le più gravi lo Yemen, la Siria, il Sud Sudan. Con il conflitto nella regione etiopica del Tigrai salgono a 22 nel 2021.

Undici si concentrano nella sola Africa subsahariana. Comprendendo tutte le crisi violente – come quella xdell’Est del Congo che si trascina da più di dieci anni, si calcolano 359 conflitti nel 2020, uno in più rispetto al 2019. Forte allarme per la crescita delle persone che hanno bisogno di aiuti umanitari, il 40% in più tra 2020 e 2021 – 235 milioni – vittime di conflitti e mutamenti climatici. Erano 62 milioni nel 2012.

Nell’arco del decennio sono più che raddoppiati rifugiati e sfollati, raggiungendo la cifra record di 82,4 milioni. Sono alcuni dati che emergono del rapporto «Falsi equilibri» di Caritas italiana su diseguaglianze e conflitti dimenticati, presentato a Roma durante un incontro coordinato dal caporedattore di Famiglia Cristiana Alberto Chiara. Settima tappa di un progetto partito nel 2001, lo studio è stato pubblicato da Edizioni San Paolo ed è stato realizzato in collaborazione con Avvenire, Famiglia Cristiana e il ministero dell’Istruzione.

«Le agenzie delle Nazioni Unite, la comunità internazionale e l’Ue – spiega il vicedirettore Caritas Paolo Beccegato – hanno dichiarato di non riuscire a raggiungere più di 165 milioni di persone in 56 Paesi del mondo, quindi 70 milioni restano scoperte dagli aiuti. Una cifra record e un segnale molto negativo».

Il rapporto pone l’accento sulle disuguaglianze, causa di violenza che tutti gli indicatori danno in aumento, e sul Covid, «che non ha causato conflitti – precisa Walter Nanni, responsabile dell’ufficio studi dell’organismo pastorale – ma può averli aggravati, perché alcuni governi hanno strumentalizzato la situazione per frenare le opposizioni. In altri casi ci sono stati accordi per il cessate il fuoco».

Sono aumentate inoltre povertà e fame che causano instabilità .Le speculazioni finanziarie sui prezzi del cibo, che si ripetono in queste settimane, denuncia la Caritas, causano povertà e di conseguenza guerre. Produzione e commercio di armi chiudono il cerchio favorendo la proliferazione dei conflitti.

Altro segnale inquietante, secondo Francesco Strazzari, docente di Scienza della politica al Sant’Anna di Pisa, è il declino della democrazia, rilevato recentemente anche dal Papa. «Secondo vari metodi di rilevazione – ha segnalato Strazzari – nel 70% dei Paesi del mondo la democrazia è entrata in recessione e il Covid usato per limitare le proteste e reprimere libertà e dissenso».

Tocca all’inviata di Avvenire Lucia Capuzzi fare il punto sul meno noto scenario lainoamericano, che ha tratteggiato anche nella ricerca. «In Sudamerica – ha raccontato dall’Amazzonia brasiliana in teleconferenza – vi sono conflitti violentissimi e nascosti, come quello che insanguina Messico, Venezuela o la stessa Amazzonia e spesso le popolazioni coinvolte non hanno voce».

In Italia gliela restituiscono, sostiene il direttore di Famiglia Cristiana don Antonio Rizzolo, «soprattutto i media cattolici, comprese le testate missionarie. Sulle guerre dimenticate e sulla sofferenza siamo sempre molto attenti e credo che portiamo anche quel messaggio di speranza che ci chiede il Papa».

Gli italiani riconoscono il ruolo del Papa e della Chiesa nella difesa dei diritti e contro le guerre. E la maggioranza degli italiani mostra di credere, pur nella crescente sfiducia verso le istituzioni internazionali, ad opzioni non violente. Lo dimostra un sondaggio di Demopolis per Caritas secondo il quale il 62% di fronte a una guerra crede più all’efficacia di una mediazione politica che a un intervento militare, cui crede il 26%.

Tre quarti vorrebbero ridurre le disuguaglianze economiche e e sociali per prevenire conflitti e il 60% vorrebbe infine proibire il commercio delle armi. «La pandemia ha acuito le diseguaglianze – ha chiosato il direttore uscente e vescovo nominato di Terni, Narni e Amelia monsignor Francesco Soddu – ma allo stesso tempo ha risvegliato un comune senso di appartenenza all’unica famiglia umana che ora è al bivio di scelte decisive per il presente e il futuro dell’umanità».

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