giovedì 7 maggio 2020
Il ministro alla Camera rivendica nuovamente la scelta di Petralia al Dap. Ma Di Matteo conferma la sua versione. L’Anm: le toghe si esprimano «con equilibrio e misura» e nelle sedi opportune
Il ministro della Giustizia, Bonafede

Il ministro della Giustizia, Bonafede - Ansa/Webtv

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Il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede rivendica la sua «discrezionalità» nella scelta del direttore del Dap, sia nel 2018, sia per la scelta recente di Dino Petralia, e annuncia che è in preparazione un decreto legge che «permetterà ai giudici, alla luce del nuovo quadro sanitario, di rivalutare l’attuale persistenza dei presupposti per le scarcerazioni dei detenuti di alta sicurezza e al 41 bis». In un movimentato question time alla Camera, il Guardasigilli ha risposto in un colpo solo alle polemiche sollevate nei giorni scorsi sulla scarcerazione dei boss, che hanno prodotto l’avvicendamento alla guida del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria tra Francesco Basentini e Petralia. E a quelle seguite alle dichiarazioni del consigliere del Csm Nino Di Matteo, che in un’intervista televisiva ha parlato di una proposta ricevuta da Bonafede di dirigere il Dap nel 2018, poi ritirata perché il Guardasigilli si sarebbe fatto condizionare dalle reazioni negative di boss intercettati in carcere.

«Non vi fu alcuna “interferenza”, diretta o indiretta», ha detto ieri Bonafede, rispondendo a un’interrogazione di Forza Italia. Anche sulla recente nomina di Petralia, prosegue il Guardasigilli «ho seguito mie valutazioni personali nella scelta, la cui discrezionalità rivendico. Ogni altra ipotesi o illazione costruita in questi giorni da alcune forze politiche, è del tutto campata in aria». Perché, spiega riguardo al caso Di Matteo, le dichiarazioni di alcuni boss erano già note al ministero dal 9 giugno 2018 «e quindi ben prima di ogni interlocuzione con il diretto interessato». Bonafede ribadisce poi la ricostruzione già fornita: per il pm palermitano della presunta "trattativa Stato–mafia" il ministro avrebbe preferito optare per la Direzione degli Affari penali, da lui però rifiutata. Di Matteo, intervistato da la Repubblica, ha tenuto il punto. Dopo il rifiuto, ricorda, «gli dico di non tenermi più presente per alcun incarico, lui ribatte che per gli Affari penali “non c’è nessun dissenso o mancato gradimento che tenga”. Una frase che, se riferita al Dap, ovviamente, mi ha fatto pensare». Di Matteo spiega poi di aver fatto le rivelazioni in questo momento, telefonando a “Non è l’Arena”, perché ha sentito fare il suo nome in trasmissione in connessione alle vicende di questi giorni. A Di Matteo arriva, però, una “tirata d’orecchie” dall’Anm. L’associazione dei magistrati, pur non nominandolo, ricorda alle toghe che «ferma la libertà di comunicazione e manifestazione del pensiero, è sempre doveroso esprimersi con equilibrio e misura». Inoltre vanno valutate «con rigore l’opportunità di interventi pubblici e le sedi ove svolgerli» e le «ricadute che le dichiarazioni, anche per la forma in cui sono rese, possono avere nel dibattito pubblico e nei rapporti tra le istituzioni».

I boss e i trafficanti di droga usciti dal carcere, perché malati e a rischio di contrarre il coronavirus, sono 376, stando a una lista riservata pubblicata ieri sempre da la Repubblica. L’elenco sarebbe stato reso noto alla commissione parlamentare Antimafia solo una settimana fa. Il procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero De Raho ha detto di essere rimasto «sorpreso» nell’apprendere delle scarcerazioni. E ora saluta con favore l’iniziativa di Bonafede di rivedere il dossier: «È un’ottima soluzione individuare spiragli in cui almeno i più pericolosi possano rientrare nel carcere».

Il clamoroso scontro tra un ministro e un togato del Csm continua ad agitare la politica sul nervo, sempre scoperto, giustizia–carceri–mafia. Il clima è incandescente. Prova ne è il brusio che si è levato nell’emiciclo, quando Bonafede ha espresso la sua «massima determinazione» nella lotta alla criminalità organizzata. All’imbarazzo dei 5 stelle, divisi tra la solidarietà a un pm ritenuto vicino o a un proprio ministro, fanno corona posizioni diversificate nella maggioranza. Con il Pd che sostiene Bonafede insieme ai big del M5s (all’interno del quale sarebbero in azione “pontieri” per ricucire lo strappo). Mentre Iv non manca di pungolare il Guardasigilli. Il centrodestra continua a chiederne le dimissioni. In particolare Lega e Fdi. Fi, pur non lesinando critiche, resta defilata sulla mozione di sfiducia individuale preparata dal Carroccio. Il partito di Giorgia Meloni invita a riflettere, preferendo che la mozione sia unitaria.

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