martedì 4 luglio 2017
Operazione dei carabinieri del Ros nella Locride: nel mirino i vertici delle più importanti cosche del 'mandamento' ionico e della città di Reggio Calabria. Parla il procuratore
Decapitate 23 cosche: 116 arresti. Cafiero de Raho: in Calabria si cambia
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"Lo Stato qua sono io. La mafia originale... non quella scadente". Poche parole, quelle dette, intercettato, da Rocco Morabito, uno dei figli del boss Peppe "tiradritto", ma che confermano la tracotanza della 'ndrangheta che, forte di un controllo asfissiante del
territorio e di tutte le attività economiche, tenta di assurgere al ruolo di alternativa allo Stato democratico.

Un tentativo, però, vanificato dai carabinieri del Ros che insieme ai colleghi del Gruppo di Locri, delle Compagnie di Bianco e Locri, e l'ausilio del reparto operativo di Reggio Calabria, hanno riannodato i fili di vecchie indagini, aggiornandole e trovando nuovi spunti che hanno portato la Direzione distrettuale antimafia reggina ad emettere un provvedimento di fermo nei confronti di 116 persone, ritenute tutte elementi di vertici di 23 cosche operanti nel "mandamento" ionico della 'ndrangheta, e ad indagarne 291 in stato di
libertà
. Un "mandamento", quello ionico - per dirla con le parole del comandante del Ros, il generale Giuseppe Governale - che rappresenta "il cuore pulsante della 'ndrangheta mondiale".

Un'organizzazione dotata pure di "tribunali" interni chiamati a giudicare gli affiliati sospettati di violazioni e ad individuare le regole da applicare caso di faida, e in grado di permeare il territorio anche sotto il profilo culturale. Tanto che un 15enne si è recato a casa del boss Antonio Cataldo per consegnare a moglie e figlia una lettera per il congiunto detenuto in cui chiedeva di essere affiliato alla sua cosca. "Chiedo a voi di essere affiliato e di ritenermi a disposizione della vostra famiglia" scriveva il ragazzino nella lettera che non è mai giunta a Cataldo per la paura di moglie e figlia di essere intercettate in carcere.

Nel "mandamento" ionico - da qui il nome dell'operazione, "Mandamento", appunto - le cosche facevano il bello e il cattivo tempo. Non c'era affare o appalto dove i clan non riuscissero a mettere le mani. E quando non riuscivano ad arrivare alla gestione diretta, provvedevano comunque a lucrare o con le classiche estorsioni, oppure infiltrandosi nei lavori, imponendo le proprie ditte di manodopera o di nolo a caldo e freddo. Il tutto, ovviamente, senza dare alcuna comunicazione alle autorità preposte dell'avvenuto subappalto, così da sviare i controlli.

Le cosche erano riuscite a infiltrarsi persino nei lavori per la realizzazione del nuovo palazzo di giustizia di Locri, dell'ostello della gioventù, del centro di solidarietà Santa Marta e di istituti scolastici, nonché nella gestione di terreni pubblici e nell'assegnazione degli alloggi popolari. Ma non solo appalti e lavori pubblici finivano nelle mani delle cosche. Dall'inchiesta è emerso infatti che Rosario Barbaro, detto "Rosi", capo del locale di Platì, esercitava un controllo sugli operai del "Consorzio di bonifica dell'Alto Jonio Reggino" che venivano impiegati per lavori edili di manutenzione nelle proprietà del boss mentre venivano retribuiti dal Consorzio per la bonifica del territorio. Anche i contributi comunitari per l'agricoltura non sfuggivano alle 'ndrine.

L'indagine - per la quale i carabinieri e la Dda reggina hanno ricevuto, tra l'altro, le congratulazioni dei ministri dell'Interno e della Difesa Marco Minniti e Roberta Pinotti - ha consentito di definire il complesso sistema di regole e rituali della 'ndrangheta, aggiornando le acquisizioni sul tema provenienti dall'indagine "Crimine", individuando nuove cariche, doti e strutture sovraordinate di cui l'organizzazione si era da dotata ultimamente per migliorare la sua efficienza operativa.

Il procuratore Cafiero de Raho: in Calabria sta cambiando qualcosa

"In Calabria davvero sta cambiando qualcosa. Lo Stato si muove in modo coeso, le istituzioni sono tutte convergenti nel contrasto efficace alla 'ndrangheta e sul cambiamento nel territorio". È la riflessione del procuratore di Reggio Calabria, Federico Cafiero de Raho sull'operazione "Mandamento", ma anche sull'importante iniziativa di "riappropriazione" del Santuario della Madonna di Polsi.


"Ieri la presenza del ministro dell'interno e del comandante generale dei carabinieri è significativa di un interesse e di un'attenzione particolare per questo territorio. Oggi questa operazione che vuole dimostrare di come lo Stato è presente nel contrasto giudiziario. I finanziamenti rivolti alla Calabria per centinaia di milioni che dovrebbero sostenere lavori pubblici dimostrano ulteriormente l'investimento che si fa su questo territorio. La presenza ieri al Santuario di Polsi di tantissime persone è altrettanto significativo".

Questi, insiste, "sono tutti segnali chiarissimi di come si voglia fare pulizia, di come bisogna scegliere da che parte stare, con lo Stato o contro lo Stato. Chi è con la 'ndrangheta, in qualunque settore operi, economia, politica, istituzioni, è contro lo Stato". Ma poi lancia una dura critica al mondo dell'informazione. "Purtroppo devo dire che quello che aiuta la 'ndrangheta è che un fatto storico come quello di ieri a Polsi non abbia avuto assolutamente un minimo di risonanza nazionale, tranne su Avvenire che ringrazio. Eppure la 'ndrangheta, che con la sua intimidazione e infiltrazione globale è presente ormai in tutti gli Stati, ha però la sua testa qui, proprio in questa terra, al Santuario, dove di anno in anno si rinnovano le cariche. E allora in un momento così importante in cui la Chiesa dice "la 'ndrangheta è fuori da questo luogo", e caspita non vuoi dare un minimo di risonanza nazionale? Ma questo contrasto alla 'ndrangheta veramente è rimesso soltanto al territorio? Per questo la gente a volte pensa "ci possiamo fidare?". È come se mancasse una coscienza nazionale su questo problema". (l'intervista integrale mercoledì 5 luglio domani u Avvenire).

Antonio Maria MIra

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