giovedì 5 novembre 2020
Dopo il "marzo nero”, i positivi crescono più lentamente che altrove. Riapre l’ospedale in Fiera, ma il sistema sanitario per ora è sotto controllo
L’accoglienza dei primi pazienti di coronavirus all’ospedale degli alpini dopo la riapertura a Bergamo

L’accoglienza dei primi pazienti di coronavirus all’ospedale degli alpini dopo la riapertura a Bergamo - Ansa

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«Arrivederci, buon lockdown...». Tre del pomeriggio. Il barista del Bike Fellas, locale officina amato dai ciclisti, congeda così uno dei pochi clienti. Poco più in là, il meccanico mette a punto un monopattino, status symbol della mobilità da pandemia. Bergamo si prepara a entrare in “zona rossa” con il disincanto di chi si appresta a rivedere un vecchio film. Senza troppe ansie, semmai con il filo di amara ironia di chi conosce già il finale e sperava, almeno adesso, in una trama diversa. Il blocco di persone e attività sarebbe servito subito, a inizio marzo, ad Alzano. Ma scattò troppo tardi: il Covid funestò la Val Seriana e poi travolse anche la città.

Ora anche il secondo lockdown sembra arrivare con i tempi sbagliati. Troppo presto, stavolta. Perché a Bergamo la curva dei positivi (ieri +240) si alza molto più lentamente che nel resto della Lombardia: meno di 25 casi ogni 100 mila abitanti negli ultimi 15 giorni secondo i dati di Polis Lombardia, mentre la più piccola Varese ha già sfondato quota 125. Non si sentono quasi gli ululati delle ambulanze e negli ospedali la situazione è sotto controllo.

Il Papa Giovanni XXIII, che a marzo arrivò a sfiorare i 400 pazienti Covid, adesso non supera i 70 ricoverati. Più altri 27 in terapia intensiva (erano 100 in primavera), 5 dei quali ospitati nella struttura degli Alpini realizzata in Fiera e riaperta proprio lunedì. Non tanto (o almeno non ancora) per far fronte a una nuova ondata di contagi sul territorio, ma per alleggerire la pressione sugli ospedali vicini, quelli milanesi in primis. Il 30% dei malati, infatti, proviene da fuori provincia. Dopo aver sofferto, Bergamo allarga le braccia per accogliere chi adesso sta peggio. E prova a far fruttare la sua triste esperienza: da medici e infermieri locali è partita una petizione per proporre una riorganizzazione ospedaliera e territoriale che renda il sistema sanitario meno vulnerabile di fronte alla recrudescenza dei contagi.

«Abbiamo già dato» è il mantra che si sente ripetere in terra orobica. Più di 6mila morti hanno lasciato un segno nero nel cuore di quasi tutte le famiglie, ma forse anche un’eredità immunitaria preziosa. Secondo uno studio del Mario Negri, circa il 40% della popolazione è stata esposta al virus venuto dalla Cina. Motivo per cui si può contare, se non sulla sospirata immunità di gregge, almeno su una buona scorta di anticorpi che faccia da argine alla seconda ondata.

Ma se il ritorno massiccio dei contagi sembra voler risparmiare Bergamo, lo si deve anche alle precauzioni – mascherina e distanziamento –, che da queste parti sono state osservate scrupolosamente anche in estate. Troppo fresco il ricordo dei camion militari con le bare a bordo. Un’istantanea che ha marchiato a fuoco la memoria dei bergamaschi, scoraggiando gli incoscienti. Almeno fino a pochi giorni fa. Perché nel weekend Città Alta è stata presa d’assalto dai visitatori. Idem le valli, con lunghe code di auto al rientro. Quasi un “liberi tutti” che crea apprensione, perché Bergamo non può ritenersi un’isola felice nel mezzo della tempesta.

Troppi i contatti con Milano per pensare di essere in una “bolla”. Il sindaco Giorgio Gori, ancora scottato dalla catastrofe di primavera, ha lanciato una campagna per promuovere i test diagnostici. E ha ammonito i suoi concittadini: «Siamo la provincia messa meglio, ma non abbastanza da non essere preoccupati: l’indice è vicino a 1,5, dobbiamo farlo scendere sotto l’1. Il 70% dei contagi avviene in famiglia, proteggiamo anche in casa le persone anziane. Serve l’impegno di tutti». I segnali inquietanti in effetti non mancano. Treviglio, a metà strada fra il capoluogo e la metropoli, attraversata ogni giorno dai treni dei pendolari, è vicina alla soglia critica: 123 i posti letto occupati su 135, con 78 ricoverati per Covid.

Non è insomma il momento di considerarsi fuori pericolo, anche se il nuovo lockdown fa molto meno paura del primo e lascia spazio a pensieri leggeri. Martedì sera i tifosi atalantini hanno aspettato fuori dallo stadio l’arrivo della loro squadra e del Liverpool, illustre ospite della notte di Champions a porte chiuse. La partita è finita con un impietoso 0–5, ma rimarrà comunque nella storia.

In questi mesi il calcio, per qualche istante, ha aiutato ad attutire paura, dolore e preoccupazioni economiche. Lo scenario resta infatti pesante: fresca del riconoscimento Unesco alle sue Mura, Bergamo ha visto quasi sparire i turisti: –53% in estate rispetto al 2019. In crisi anche i ristoratori: Confcommercio stima in 529 milioni di euro le perdite 2020. Il Comune è corso ai ripari lanciando il progetto Rinascimento: 4 milioni a fondo perduto per tamponare le spese urgenti sostenute dalle piccole imprese nelle prime fasi dell’emergenza. Il Pil è crollato del 10% e il nuovo stop non aiuterà, ma «la ripresa è solo rinviata» ha garantito all’Eco di Bergamo Carlo Mazzoleni, presidente della Camera di commercio. Bergamo incrocia le dita e guarda avanti.

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