domenica 15 dicembre 2019
Il responsabile dell’Agenzia nazionale di Milano, Giarola: adesso c’è prima l’assegnazione poi il progetto L’iter va capovolto e siamo pronti ad aiutare piccoli Comuni e terzo settore a trovare fondi
Il responsabile dell’Agenzia dei beni confiscati di Milano, Roberto Giarola

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Per esteso si chiama “Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata”. E il suo scopo è ben spiegato dal nome. Istituita nel 2010, ha sede a Roma e sedi secondarie a Reggio Calabria, Palermo, Napoli e Milano. Nell’intera provincia di Milano sono 716 gli immobili in gestione all’Agenzia per i beni confiscati, in attesa di nuova vita

Un triangolo virtuoso. Tra il Terzo settore, le Istituzioni e chi ha i fondi. L’obiettivo? Arrivare ad una gestione dei beni confiscati alla criminalità che sia più efficiente, flessibile e in grado di rispondere a tutte le esigenze. Come? Anticipando, se così si può dire, il momento della scelta della destinazione del bene. In questo modo chi ne farà richiesta potrà subito partire per realizzare il progetto.

Così il responsabile dell’Agenzia Nazionale dei beni confiscati della sede di Milano, Roberto Giarola sta attuando le direttive del Prefetto Frattasi, nuovo direttore dell’Agenzia. Da qualche mese alla guida dell’ufficio, Giarola, un passato ai vertici della Protezione Civile, vuole rendere i tempi più rapidi. Con due obiettivi: primo non lasciare che i beni restino inutilizzati a lungo o che i progetti falliscano. Secondo, mostrare a tutti che la destinazione 'buona' funziona.

Dottor Giarola, come nasce questa idea?
Nasce da una condizione oggettiva: in carico all’agenzia c’è un grandissimo numero di immobili. Che normalmente l’agenzia offre a chi fa richiesta singola con una manifestazione di interesse o invece in forma aggregata convocando una conferenza di servizi per proporre una serie di beni agli enti territoriali o all’Agenzia del Demanio (che coordina le amministrazioni statali). Gli enti, una volta entrati in possesso del bene, lo assegnano, con bando, a chi ne fa richiesta per destinarlo a un uso sociale. Tutto questo scarica sull’ente locale, però, cui si assegna un bene l’onere di trovare in un soggetto gestore nel vastissimo mondo del terzo settore. Ora, un Comune come Milano ha strutturato questo processo, ma enti più piccoli che, magari, condividono il segretario generale o l’ufficio tecnico con altri, sono in difficoltà. Senza contare che le stesse associazioni di volontariato passano da realtà molto ampie - pensiamo alla Caritas ambrosiana - a esperienze piccolissime. Allora tutto questo insieme di elementi ci porta a dire che dire che se non rendiamo conoscibili e usufruibili i beni destinati direttamente agli utilizzatori potenziali rischiamo di trovarci con un problema grande. Ovvero che chi prende il bene poi non sa bene a chi e come assegnarlo.


Per chi gestisce gli spazi tolti alle mafie, è sempre più cruciale rendere conoscibili e usufruibili le possibilità concesse dalla legge. «Altrimenti, rischiamo di trovarci con un problema»



E quindi come intervenite?
Innanzitutto facendo in modo che ci siano informazioni accessibili e fruibili utili alla valorizzazione del bene e alla sua gestione. Faccio un esempio: se diamo un appartamento chi lo prende deve sapere quanto dovrà pagare all’anno di spese di condominio. Per evitare brutte sorprese. E poi deve essere in grado di gestirlo. Pochi giorni fa appena fuori Milano è ripartita un’esperienza positiva in un luogo sequestrato alle cosche. La prima volta, la cooperativa che aveva preso in carico il bene era stata costretta a chiudere. Ora, sono 3 le cooperative coinvolte e il progetto, con gambe più solide, è ripartito. Invece, per realtà del Terzo Settore più ampie, il problema è proprio l’opposto. Con fondi a disposizione e capacità di gestire progetti importanti, potrebbero arrivare a richiedere non un singolo bene, ma gruppi interi. Ecco l’idea è proprio questa. Evitare che ci siano fallimenti o ritardi attivandoci per creare occasioni di confronto tra esperienze e know-how in questo campo. A partire dai finanziamenti

Forse la sfida più difficile.
Certo. Anche perché molti enti interessati, soprattutto quelli piccoli, non sanno dove reperire i soldi necessari per riadattare i beni. Ad esempio Regione Lombardia ha un fondo cui si può accedere per finanziare progetti di riutilizzo dei beni confiscati. L’anno passato furono pochissime le richieste. Regione ha rivisto le procedure del fondo e noi vogliamo pubblicizzare al massimo opportunità del genere. Possiamo sollecitare progetti e mettere in contatto chi ha un’idea con chi potrebbe aiutare a realizzarla. Senza contare che, talvolta, i patrimoni sono confiscati solo in parte. E chi lo ottiene magari si trova a convivere a pochi metri dal vecchio proprietario. Con tutto quello che ne consegue anche in termine di progettualità.

Una sorta di agenzia di servizi.
Quello che importa è che il bene non resti inutilizzato. Sarebbe un tradimento della legislazione antimafia e un segnale pessimo sia verso i malavitosi che verso i cittadini. Alcuni colleghi che lavorano in Agenzia appartengono alle forze dell’ordine e in passato hanno contribuito, con le loro indagini, a rendere possibili i provvedimenti di confisca adottati dai Giudici. E’ importante anche per loro vedere che i loro sforzi non sono stati inutili.


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In provincia di Milano gli immobili confiscati alla mafia e già trasferiti a enti locali e associazioni del territorio
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Nella sola città di Milano gli immobili confiscati e già destinati a riuso sociale. Tra questi, cinque ville
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