domenica 11 ottobre 2020
Lamorgese: i provvedimenti salviniani hanno «desertificato l’accoglienza diffusa». «Creato un esercito di persone senza identità. Ora l’obiettivo è la ripresa di flussi regolari di immigrati»
Luciana Lamorgese

Luciana Lamorgese - Ansa

COMMENTA E CONDIVIDI

«Il mio obiettivo è arrivare, appena l’emergenza Covid–19 lo consentirà, a una ripresa dei flussi regolari, anche perché questo è il modo più efficace per sottrarre tanti migranti allo sfruttamento dei trafficanti di esseri umani». Luciana Lamorgese non ama i proclami, né la grancassa suonata da alcuni “politici di professione”. Titolare dell’Interno dopo una lunga carriera prefettizia, predilige il linguaggio asciutto e il profilo basso dei civil servant. Nel testo che ha modificato i discussi decreti sicurezza salviniani c’è molto della sua competente opera di ricucitura delle proposte di maggioranza, sommata al labor limae dell’ufficio legislativo del Viminale: «Abbiamo cercato di non perdere mai di vista due parametri di riferimento fondamentali in tema di immigrazione: la dignità delle persone che vengono accolte e la sicurezza delle comunità che accolgono – dice Lamorgese ad Avvenire –. Ci siamo mossi tra queste due sponde per rimodulare le norme dei decreti 112 del 2018 e 53 del 2019 che, negli ultimi due anni, hanno sostanzialmente desertificato il sistema di accoglienza diffuso nei territori, finendo così per alimentare un esercito di ‘fantasmi’ senza volto e senza identità. Perciò, anche per garantire la sicurezza dei nostri territori e delle nostre comunità, abbiamo ridisegnato un Sistema di accoglienza e integrazione (Sai) capillare, diffuso in piccoli centri presenti in tutte le regioni, in cui gli immigrati hanno un nome, i documenti, un domicilio certo e magari anche la possibilità di essere impiegati regolarmente o di essere reclutati per lavori socialmente utili».

«Accoglienza desertificata», «esercito di fantasmi». Insomma, il discutibile «Siproimi» dell’era salviniana ne ha creati di problemi...
Diciamo che il Sai presenta molti elementi di novità rispetto al Siproimi. Mentre le attività di prima assistenza continueranno a essere svolte nei centri governativi ordinari e straordinari, il Sai si articolerà su due livelli di prestazioni: il primo è dedicato ai richiedenti protezione internazionale, il secondo riguarda i titolari di protezione e prevede servizi aggiuntivi finalizzati all’integrazione. Sono itinerari da avviare al termine del periodo di accoglienza nel perimetro del Piano nazionale dell’integrazione, aggiornato secondo linee direttrici su formazione linguistica, informazione sui diritti e doveri individuali, orientamento ai servizi e inserimento lavorativo.

Lei non menziona mai, suppongo per galateo istituzionale, il suo predecessore al Viminale, che invece la attacca spesso...
Mi limito ad osservare che i precedenti decreti avevano stressato il sistema di accoglienza al punto di renderlo inefficace perché, di fatto, sono stati esclusi dai centri moltissimi immigrati finiti in una terra di nessuno in condizioni di precarietà e clandestinità.

Dopo aver superato anche questo scoglio, la maggioranza è più coesa?
In effetti non è stato facile arrivare a un testo condiviso, poi recepito in pieno dal Consiglio dei ministri. Siamo partiti dalla consapevolezza che l’immigrazione è un fenomeno complesso da gestire in un perimetro di regole chiare per chi viene accolto nel nostro Paese. E, riunione dopo riunione, siamo riusciti a mettere a fuoco gli obiettivi condivisibili da tutti i partiti della coalizione che, debbo darne atto, hanno fatto un grande sforzo per raggiungerli.

Il ripristino di una formulazione più ampia per le fattispecie di protezione umanitaria era necessario per riportare le norme italiane nella cornice del diritto internazionale?
Il valore aggiunto di questo decreto sta nel fatto che interviene con il bisturi, e non con l’accetta, sul nodo della protezione umanitaria, che va affrontato nel rispetto degli obblighi internazionali assunti dal nostro Paese. Abbiamo operato con una tipizzazione dei casi speciali, che ora comprendono pure chi, nel proprio Paese, rischia di essere sottoposto non solo a tortura, ma anche a trattamenti inumani e degradanti; chi è fuggito per gravi calamità; chi presenta gravi patologie o è stato minacciato nel diritto alla vita privata e familiare. Aggiungo che la Presidenza della Repubblica, con le osservazioni formulate in occasione del varo dei decreti del 2018 e 2019, ha tracciato una linea che accompagna tutti i punti cardine del provvedimento.

Rispetto alle norme sui soccorsi in mare, le ong si sentono ancora “criminalizzate”. Cosa risponde?
Lo ritengo un giudizio ingeneroso, perché chiunque si trovi ad operare salvataggi in mare, comprese le Ong, deve agire in un quadro normativo di riferimento e rispettare le regole. Stabilire un perimetro per le operazioni Search and Rescue non significa criminalizzare: tant’è che, nel nuovo decreto, il provvedimento di divieto o di limitazione del transito e della sosta per le navi nel mare territoriale, per ragioni di ordine e sicurezza pubblica o di violazione delle norme sul traffico dei migranti, non si applica alle operazioni comunicate ai competenti centri di coordinamento e allo Stato di bandiera ed effettuate nel rispetto delle prescrizioni impartite dagli organi interessati. Inoltre, non sono più previste le sanzioni amministrative fino a un milione di euro, oggetto di una delle osservazioni della Presidenza della Repubblica. Pertanto la violazione del provvedimento torna a seguire, per tutti e non solo per le Ong, il regime sanzionatorio penale del codice della Navigazione che prevede la multa da 10mila a 50mila euro. E sarà un giudice al termine di un dibattimento a stabilire l’eventuale sanzione.


«Non è stato facile arrivare a un testo condiviso. Spero che eventuali modifiche alle Camere non ne intacchino l’impianto»

Nella maggioranza, c’è chi ritiene che in fase di conversione in legge alcuni passaggi del testo possano essere modificati. Cosa ne pensa?
Il testo è il frutto di un lavoro lungo e complesso portato a termine con gli esponenti della maggioranza. Perciò, nel pieno rispetto della sovranità del Parlamento nella fase di conversione in legge del decreto, auspico che l’impianto non subisca modifiche tali da rimettere in discussione tutto il provvedimento.

Il decreto dimezza i tempi di permanenza nei Cpr e istituisce forme di ricorso al Garante dei detenuti. L’intento è di restituire umanità e dignità anche a chi non ha titolo per permanere in Italia?
Ritengo sia un dovere garantire la piena dignità e un trattamento umano per tutti. Tuttavia, quando parliamo di trattenimento dei migranti nei Cpr, non possiamo dimenticare gli aspetti legati alla sicurezza, anche per il rispetto dovuto alle forze di polizia che svolgono un compito molto delicato: nel decreto c’è perciò anche una norma che introduce l’arresto e il rito direttissimo per tutti i reati commessi nei centri con violenza alle persone e sulle cose.

I centri, forse anche per via delle procedure anti Covid, restano focolai di tensioni e incidenti. Come si sta muovendo per limitare il rischio di scontri e fughe di migranti?
L’emergenza sanitaria ha reso l’accoglienza dei migranti ancora più complessa. Non è stato semplice organizzare la quarantena in sicurezza per gli immigrati che sono sbarcati sulle nostre coste e predisporre migliaia di tamponi: con 5 navi traghetto, siamo riusciti a decongestionare l’hot spot di Lampedusa e gli altri centri in Sicilia. E con la collaborazione della Regione, abbiamo potuto costruire una cornice di sicurezza sanitaria adeguata. In estate, mi creda, non c’è stato un solo giorno in cui ho tralasciato di occuparmi della gestione dei flussi migratori e del loro impatto sui territori più esposti. Sono stati chiusi i centri ritenuti inadeguati e molti migranti sono stati trasferiti in regioni diverse da quelle di arrivo. Dopo due visite in Tunisia, ho ottenuto che riprendessero i due voli a settimana per i rimpatri nei medesimi numeri stabiliti in periodo pre–Covid. In aggiunta, il nuovo governo guidato da Hichem Mechichi si è impegnato per questo mese di ottobre ad autorizzare un certo numero di voli straordinari.

Venerdì alcune ong hanno denunciato il trasferimento di immigrati con permesso di soggiorno dal Cas di Roma alla nave Allegra, ormeggiata nella rada di Palermo. Cos’è avvenuto e per quale ragione?
Il trasferimento sulle navi adibite specificatamente alla quarantena è stato deciso per garantire l’applicazione delle misure di isolamento fiduciario dei migranti affetti da virus, a tutela degli altri migranti presenti nei medesimi centri e del personale che vi presta servizio, a causa del mancato reperimento di posti nelle strutture territoriali. Gli stessi migranti verranno ritrasferiti nelle province di provenienza, una volta accertata la negatività al virus. Ciò detto, è evidente che debba essere data priorità a una soluzione di queste emergenze nei territori e nelle regioni in cui i migranti sono ospitati, con il massimo impegno di tutte le istituzioni.

Molti ritengono maturi i tempi per una nuova legge sulla cittadinanza, che includa ius soli e ius culturae. Concorda?
Una riforma della cittadinanza, capace di stabilizzare in una cornice di diritti e di doveri tante famiglie presenti da anni stabilmente in Italia, è un tema strategico per il Paese. Deve maturare in Parlamento e che necessita di un’ampia maggioranza per poter produrre una legge condivisa e duratura. Personalmente, ritengo che i tanti ragazzi e giovani – nati da genitori stranieri residenti da tempo in Italia, e che frequentano le nostre scuole – abbiano diritto ad avere una risposta dalla politica, sentendosi già parte della nostra comunità.

Nel decreto ci sono anche norme sulla sicurezza urbana, nate anche dopo lo sgomento suscitato da tragiche aggressioni.
La brutale aggressione di gruppo costata la vita a Willy Monteiro Duarte, ma anche l’omicidio a freddo di don Roberto Malgesini sono episodi gravissimi. Sono morte due persone generose, pronte ad esporsi in prima persona per difendere i più deboli. Con le nuove norme inserite nel decreto, ora i questori potranno vietare di frequentare i locali pubblici o vietare stazionamenti nelle immediate vicinanze anche alle persone condannate in un solo grado di giudizio, o denunciate, per spaccio di droga o per atti violenti. Lo dobbiamo a tutti coloro i quali, come Willy e don Roberto, pensano agli altri prima che a se stessi.


© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI