mercoledì 6 giugno 2018
«È brutto avere la cittadinanza solo a 18 anni». La replica: Ius soli non prioritario. Nel nostro Paese regole vecchie di oltre un secolo
Balotelli rilancia la sfida della cittadinanza
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«È brutto avere la cittadinanza solo a 18 anni, da giovane è stato difficile non essere riconosciuto come italiano. Però io sono nato in Italia, cresciuto in Italia e, purtroppo, mai stato in Africa». Mario Balotelli prova a riaprire il dibattito sulla riforma della cittadinanza, approvata dalla Camera nella scorsa legislatura e poi impantanata al Senato. La porta viene subito chiusa da Matteo Salvini: «Caro Mario, lo Ius soli non è la priorità mia né degli italiani – twitta – divertiti dietro al pallone».

Anche alla vigilia della partita con l’Olanda, l’attaccante aveva parlato del razzismo: «È un discorso complicato, io l’ho vissuto anche quando ero più piccolo, è un discorso che fa molto male e dà anche fastidio». Fino ai 18 anni il giovane, nato a Palermo e cresciuto a Brescia, era straniero nella nazione in cui viveva (l’Italia) e cittadino di un Paese in cui non ha mai messo piede (il Ghana).

La legge infatti continua a essere quella del 1992, basata su quella del Regno d’Italia del 1912: chi nasce in Italia da genitori stranieri, anche se regolari, non è italiano fino ai 18 anni. È un connazionale invece chi non è mai stato in Italia ma magari ha un trisnonno italiano emigrato all’estero. La storia di Balotelli è quella vissuta da tanti 'italiani senza cittadinanza'. Vive sia l’accoglienza, sia il razzismo.

Nel 1990 i genitori lo chiamano Mario per riconoscenza verso la signora Maria Brai, che aveva aiutato il padre nei primi mesi palermitani. Quando, poco dopo, la famiglia Barwuah si trasferisce a Bagnolo Mella, 15 chilometri da Brescia, non mancano gli episodi xenofobi: a Vighizzolo il 22 gennaio 1992 una banda prende di mira una coppia di ghanesi, mentre, due ore dopo, una decina di ragazzi incappucciati aggredisce dei marocchini a Calvagese.

Intanto i Barwuah hanno difficoltà e chiedono aiuto ai servizi sociali. In accordo con i genitori, Mario viene affidato ai Balotelli. Come ricostruisce Mauro Valeri nel libro 'Vincitore nel pallone', la pelle nera non è indifferente. La maestra Tiziana Gatti racconta: «Si dipingeva la pelle di rosa con il pennarello». O un suo amico di allora ricorda: «In bagno si lavava le mani con acqua bollente per farle diventare bianche». Ieri Balotelli deve aver pensato anche a questi episodi lanciando l’appello per cambiare la legge: «Quando ero piccolo, era molto più pesante. C’erano cose che ancora non capivo.

Ora le so e provo a cercare un modo per cambiarle, anche se non è facile. Nella mia vita ci sono stati tanti razzisti, ma anche tanta ignoranza e paura della diversità. Piano piano cambiare si può». Il calcio è stato decisivo: «Siccome vedevo che ce l’avevano con me, dicevo: ma allora qualcosa ho, lo prendevo anche come un punto di forza ». Inizia a farsi notare e conquista i titoli delle pagine sportive come «il ghanese». Anche nello sport essere 'straniero a casa propria' significa perdere delle opportunità: Mario viene escluso dalla squadra all’Olimpiade di Pechino perché i Giochi iniziano poco prima del suo diciottesimo compleanno, per il passaporto non è italiano.

Arriva la convocazione in Nazionale, ma è quella del Ghana: Mario rifiuta e nel Paese africano si deve addirittura dimettere il ministro che ne aveva annunciato la risposta positiva. Con le 18 candeline, finalmente arriva la cittadinanza italiana. È quello che prevede la legge per gli 'stranieri' regolari: se sei nato in Italia e non hai perso neanche un giorno di residenza nel Belpaese, puoi chiedere la cittadinanza entro il diciannovesimo anno.

È una concessione, non un diritto; per questo ai ragazzi down viene spesso rifiutata, poiché lo Stato li reputa incapaci di intendere e quindi di recitare il giuramento della cerimonia di ottenimento. Quello dei down è un caso limite, ma sono tanti gli schiaffi che la legge tira agli 'italiani senza cittadinanza': per il ministero dell’Istruzione, il 61% degli stranieri sui banchi di scuola sono nati in Italia. L’anno scorso Avvenire ne ha raccontato 100, di storie. C’è chi cresce sognando di diventare commissario di polizia o pilota d’aereo, ma poi scopre che non è possibile perché ha perso la residenza per pochi mesi e quindi non ottiene la cittadinanza. Chi è l’unico della classe che non va in gita all’estero o chi, in diversi sport, vestirebbe la maglia azzurra per il merito e invece deve seguire i mondiali dalla tv perché 'straniero a casa propria'.

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