venerdì 15 febbraio 2019
Al Cdm di ieri solo una «comunicazione» sullo stato delle intese con Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna. Il ministro Stefani: ok del Mef, non è secessione. Slittano incontri fra Conte e governatori
Autonomia, primo passo «tecnico». L'altolà M5s: no a cittadini di serie B
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Dopo una giornata di proclami, dubbi e trattative, il primo altolà del M5s all’accelerata della Lega sulle intese per le autonomie regionali arriva in serata, poco prima dell’inizio del Consiglio dei ministri, nella veste di un dossier dei gruppi parlamentari pentastellati, con valutazioni puntute sulle intese con Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna.

Per il M5s, si legge, «ogni percorso di autonomia non può prescindere dalla prioritaria individuazione dei Lep» (i livelli essenziali delle prestazioni) per evitare che «ci siano cittadini di serie A e di serie B». Al Movimento non va giù neppure la 'blindatura' immaginata dal Carroccio, attraverso una possibile 'inemendabilità' in Parlamento dei disegni di legge che recepiscono le tre intese. Il vicepremier e leader leghista Matteo Salvini liquida quei dubbi con ironia: «Ultimamente i dossier li vedo in ritardo, quindi chiedetelo a chi lo ha fatto. È un passaggio storico, non ci saranno cittadini di serie A e B. Chi lo dice non ha letto il documento». In ogni caso, aggiunge, la prossima settimana si terrà «un vertice politico » a tre, col premier Giuseppe Conte e il vicepremier Luigi Di Maio. Insomma, la partita resta aperta. E fra i pentastellati gli interrogativi crescono, al punto da convincere il premier Giuseppe Conte ad affrontare la questione con cautela. La frenata traspare, verso le sei di sera, anche da una dichiarazione prudente, seppur «ottimista», della ministra le- per gli Affari regionali e le Autonomie, Erika Stefani: «I testi arrivano in Cdm, ma la procedura non prevede un voto ». Al termine del Cdm, ancora Stefani sintetizza così: «Sull’autonomia, con un giorno di anticipo, si è chiusa la fase tecnica, e tutti i ministeri hanno dato il loro contributo. Sull’impianto e sulla parte finanziaria, c’è l’ok dell’Economia». In settimana, aggiunge, «ci sarà un tavolo per una proposta definitiva », ma ci sarà un confronto in Parlamento, prima dell’intesa. Nessuna regione sarà penalizzata, non è una secessione ».

Fossato in maggioranza. Rassicurazioni a parte, la questione rischia di trasformarsi nell’ennesimo nodo gordiano per l’esecutivo. Se infatti il Carroc- cio ne fa una battaglia da sempre, così non è per il Movimento, nel quale diversi ministri temono di dover cedere spicchi di competenza (Danilo Toninelli per i Trasporti o Grillo per la Sanità). E la diversità di vedute potrebbe scavare un fossato in grado di mettere a dura prova le capacità di mediazione del premier, col Carroccio pronto a minacciare la crisi di governo: «Se non dovesse passare l’Autonomia regionale come la chiediamo noi, e come è scritto nel contratto – ha avvertito giorni fa il sottosegretario leghista Giancarlo Giorgetti –, io mi ritirerei dal governo. Restarci non avrebbe senso».

Governatori in attesa. Il presidente dem dell’Emilia Romagna Stefano Bonaccini parla di «un passo avanti, ma non conghista clusivo. Io aspetto». Per il veneto Luca Zaia (Lega) «siamo all’ultimo miglio, attendo che il presidente del Consiglio affronti one to one coi governatori le singole partite». Sul chi va là resta il governatore del Lazio e candidato alla segreteria del Pd Nicola Zingaretti: «Può essere una grande opportunità, ma anche distruggere la coesione italiana».

Opposizioni guardinghe. «Siamo favorevoli a una maggiore autonomia –considera il leader di Forza Italia Silvio Berlusconi –, ma teniamo in grande considerazione le ragioni del Sud». In difesa gioca pure il dem Maurizio Martina: «Respingeremo qualsiasi forzatura che allarghi le distanze tra i territori e le comunità locali del Paese».

Procedura inedita. La trattativa era stata avviata dal Governo Gentiloni a fine legislatura. Poi la ministra leghista l’ha portata avanti, ottenendo il via libera del Mef sulle bozze (che oscillano fra 15 e 23 materie su cui avere più autonomia). Ma la partita si giocherà pure sul piano procedurale. Il percorso aperto dal terzo comma dell’articolo 116 della Costituzione è da esplorare. Fra i giuristi, c’è chi assimila le intese a quelle (inemendabili) fra Stato e confessioni religiose. Per altri, come il deputato e costituzionalista Stefano Ceccanti (Pd), si dovrebbe lasciare la possibilità di emendamenti. Toccherà ai presidenti delle Camere, Casellati e Fico, delineare un iter che dia corpo al dettato costituzionale, nel rispetto della sostanza delle intese e, insieme, delle prerogative del Parlamento. © RIPRODUZIONE RISERVATA L’ITER Lo scontro riguarda anche il passaggio alle Camere. La Lega: testi inemendabili. Il Movimento: Aula decisiva. L’ipotesi di un «confronto parlamentare» prima delle firme

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