martedì 17 maggio 2022
Dopo la serata evento del teatro Ghione "Pace proibita", il fronte pacifista rilancia e chiede l'intervento della commissione di Vigilanza per il rispetto di tutte le opinioni sul conflitto
Appello al Parlamento per dare più voce alla pace

Matteo Marcelli

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Dopo Pace proibita, la serata evento organizzata al Teatro Ghione di Roma il 2 maggio, la composita galassia pacifista riunita attorno all’iniziativa di Michele Santoro rilancia le proprie posizioni con un appello al Parlamento a difesa del pluralismo. A presentarlo, ieri pomeriggio, nella sede della Federazione nazionale della stampa italiana, è stato lo stesso giornalista ex Rai, assieme a Sabina Guzzanti e al direttore di Avvenire, Marco Tarquinio. Approcci diversi e background distanti, che però trovano il modo di percorrere un tratto di strada assieme verso un obiettivo comune: un’informazione "liberata", la vittoria del dialogo, il silenzio delle armi.

La richiesta avanzata dai promotori è quella di una riunione urgente della commissione di Vigilanza Rai affinché si intervenga sulla narrazione attuale della guerra, anche commissionando un sondaggio approfondito sul gradimento degli italiani sull’informazione sin qui assicurata, e che comunque si ponga rimedio alla demonizzazione delle opinioni di chi è contrario all’escalation militare. «Oggi pace è una parola quasi proibita, censurata. Grazie all’iniziativa del teatro Ghione è tornata a circolare più liberamente, ma questo segnale di disgelo non è arrivato alla stampa italiana – ha fatto notare Santoro –. Volevamo fare un atto di ribellione al pensiero unico e siamo stati travolti dalla partecipazione, significa che c’è un’opinione pubblica bloccata e che non viene rappresentata. Per cui chiediamo un riequilibrio delle rappresentanze di tutte le posizioni nel servizio pubblico».

Il punto però non è soltanto la tutela delle voci in dissenso rispetto all’escalation militare, ma anche l’assenza di un dibattito politico in cui trovino posto visioni differenti rispetto alla direzione tracciata dall’esecutivo.

«Non ho mai visto tanta unanimità su un tema "bellico" in seno a un Parlamento. Certo, questo potrebbe anche essere un bene, ma lo sarebbe se ci fosse per ogni aggressione e ogni guerra ingiusta che avviene nel mondo – ha spiegato Tarquinio citando come esempi il Sud Sudan e il Tigrai –. Non ho mai subito attacchi come quelli a cui ho assistito in questi giorni e non ho mai visto tanta protervia nel fare "liste di proscrizione" con i nomi di chi non si adegua alla narrativa dominante. Nel 2003 ero contro la guerra in Iraq, ad esempio, ma nessuno mi ha dato del "pro Saddam". Si lascia dire senza contraddittorio che "il pacifismo uccide", ma non ho mai sentito di un pacifista che ha ammazzato qualcuno, mentre la storia è piena di guerrafondai che lo hanno fatto, quasi sempre per interposta persona, e che per questo magari si sono arricchiti, senza mai chiedere scusa. Eppure sfido a trovare una guerra dal 1945 a oggi, anche soltanto una, che abbia portato più felicità, più libertà e più democrazia».

D’altronde, come ha ricordato ancora il conduttore, diversi sondaggi rivelano che il 50% degli italiani è contrario all’invio di armi, circostanza che dovrebbe imporre al servizio pubblico di dare conto di questa posizione. «Nel contratto di servizio della Rai c’è anche l’obbligo del rispetto pluralismo – ha messo in chiaro Santoro –. In questo momento l’informazione dell’azienda lo sta violando. Se l’Agcom e il Parlamento non intervengono, evidentemente non stanno facendo il loro lavoro».

C’è poi la questione del linguaggio con cui si affronta il tema del conflitto, assieme alla tendenza a polarizzare le posizioni rinunciando alla complessità. Un meccanismo perverso che porta a identificare chi lotta per la pace con un filoputiniano. A farlo notare è stata Sabina Guzzanti, per la quale questo atteggiamento trova la sua origine già nella comunicazione bellicista inaugurata con il racconto della pandemia: «È triste che in una democrazia il pluralismo non sia considerato un valore – ha detto l’attrice e regista romana – quando invece è esattamente ciò che rafforza la libertà. Non è legittimo che chi ha potere nel mondo dell’informazione assuma un ruolo da forza dell’ordine».

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