mercoledì 8 settembre 2021
Il percorso a ostacoli per ottenere il Green pass che riguarda migliaia di italiani vaccinati all’estero con una o due dosi
Anita e gli altri immunizzati all’estero orfani di Green pass

Ansa

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Una babele di numeri da chiamare, mail da spedire e ore che diventano giorni spesi ad aspettare risposte. È anche questa la realtà del Green pass affrontata quotidianamente da migliaia di italiani vaccinati all’estero con una o due dosi. I vaccini sono quelli riconosciuti dall’Ema, quindi validi anche in Italia. Le certificazioni di alcuni Stati sono equivalenti al Green Pass, quindi valide.

Allora dove s’inceppa il sistema?

Va distinto tra vaccinati nell’Unione Europea o meno. Mara D’Oria, per esempio, s’è vaccinata in Polonia con entrambe le dosi di Pfizer, ha finito il tirocinio post laurea ed è tornata in Italia. Green pass riconosciuto, nessun problema.

Giulia Bazzano ha fatto la prima dose di Moderna in Belgio, vacanze in Italia e seconda dose, fatta qui da noi. QR code arrivato il giorno dopo l’ultima vaccinazione.

Per Francesco Bono, ricercatore in Germania e residente nel Lazio, le cose invece sono andate diversamente. Complice, forse, l’attacco hacker ai server della Regione a fine luglio. «Ci ho messo un mese per avere il Green pass. – racconta – Mi sono vaccinato con AstraZeneca in Germania e con Moderna qui». Pensava fosse tutto a posto, invece no. Il problema? L’hub regionale non ha accesso all’anagrafe vaccinale nazionale. «Per fortuna ho trovato il gruppo Facebook (si chiama "Problemi rilascio Green Pass Ue soggetti guariti e vaccinati con una dose", ndr) – spiega – e ho scoperto che per sbloccare la situazione, nel Lazio, bisogna chiamare un numero dell’assessorato alla Regione e scrivere una email». Detto fatto, in dodici ore il ricercatore ha ottenuto il tanto ambito Green pass.​

Se i sistemi informatici di Stato e Regioni non comunicano, meglio non va tra quelli di Paesi diversi. In Gran Bretagna l’uscita dall’Ue ha notevolmente rallentato gli scambi tra i sistemi sanitari. Mattia Truppi vive e lavora a Londra e ad agosto ha prenotato la seconda dose in Italia, dopo aver fatto la prima nel Regno Unito. Arrivato a Milano «mi hanno creduto sulla parola» e «il giorno del vaccino ho solo confermato a voce di aver fatto la prima dose all’estero». Qui per Mattia iniziano i problemi. Senza tessera sanitaria non può riceve il Green pass: questo perché l’Italia rilascia il certificato verde solo a chi ha la carta identità elettronica, lo Spid, I’app IO, Immuni, oppure, la tessera sanitaria. Tutti strumenti che le persone iscritte all’Aire (Anagrafe Italiani residenti all’estero) non hanno. «Non ho ancora il Green pass e ho dovuto persuadere chiunque me lo chiedesse. In aeroporto temevo mi vietassero di partire».

Non è più semplice la situazione per chi arriva dagli Stati Uniti. Anita Quero sta facendo il dottorato di ricerca a New York e lì si è vaccinata con doppia dose Pfizer. Quando è atterrata in Italia è subito andata a registrare le vaccinazioni. La procedura ha funzionato, ma il messaggio non è arrivato, tanto che sulla tessera sanitaria non c’era traccia delle due dosi. Il problema qui è un altro ancora: anche se gli Usa rientrano tra gli Stati la cui certificazione è equivalente e quindi valida anche in Italia, la carta rilasciata non ha il codice QR. Questo impedisce ai sistemi di leggere il Green pass e così la persona risulta non vaccinata. La circolare ministeriale c’è, ma i proprietari degli esercizi commerciali non la conoscono e meglio non va per il servizio pubblico.

Leonardo Sartori, cooperante per una Ong italiana in Libano si è vaccinato con Pfizer. «L’ordinanza del ministero c’è, – dice Sartori – i vaccini sono validi anche se il Libano non rientra tra gli Stati con certificazione equivalente». Manca l’applicazione del tutto. Dopo un mese e mezzo aspetta. Il suo Green pass è valido solo in Libano e per ritornarci il viaggio sarà lungo: treni e aerei sono impraticabili. Senza certificato verde non ci si muove.

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